La crisi mondiale, trasformandosi da finanziaria ad economica, ha lasciato il segno sulla crescita dei Paesi industrializzati, e sta contribuendo a far aumentare a vista d’occhio l’esercito dei disoccupati. A ben vedere la crisi finanziaria è già finita: l’accesso al credito è diventato più fluido, le banche sono tornate a “fidarsi” tra di loro prestandosi denaro, e le Borse viaggiano sui massimi dell’anno al traino di Wall Street. Insomma, chi ha avuto capitali da investire, e lo ha fatto al momento giusto, ovverosia nella fase di depressione e frustrazione sui mercati finanziari, adesso può sorridere. Ben poco hanno da sorridere invece i 57 milioni di disoccupati che nel 2010 ci saranno nei Paesi dell’area Ocse; il numero dei senza lavoro toccherà infatti il picco nel prossimo anno, ed anche l’Italia non è, secondo l’Ocse, immune da tale tendenza. Anzi, in fatto di aumento della disoccupazione in Italia, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ritiene che il peggio debba ancora arrivare.
1 commento su “Tasso disoccupazione: picco massimo previsto nel prossimo anno”
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E’ un’indagine commissionata dal Comune di Palermo, un sondaggio condotto dal Progetto Giovani Palermo coordinato da Marco Marchese con oltre 1700 interviste, a darci un quadro desolante del futuro delle giovani generazioni in Sicilia. Non che non lo sapessimo già. Ma sciorinare le cifre apocalittiche che vengono fuori dalle interviste telefoniche ci si sente un po’ più male. Il 30% dei giovani che ha trovato lavoro è in un call center, ovvero si tratta di giovani sottopagati e precari, con un’occupazione inadeguata al titolo di studio. Per gli altri fortunati che non sono ancora alla ricerca di un’occupazione, il lavoro è in nero. La stima del tempo occorrente per trovare una sistemazione, ancorché precaria, dopo la laurea, è di tre anni, per bocca degli stessi intervistati. Ma quelli che non vogliono aspettare o che sperano comunque in un futuro migliore scelgono la strada del nord, o addirittura dell’estero. Se si aggiunge l’altro dato sconfortante, e cioè il fatto che chi ha trovato lavoro lo ha avuto grazie a raccomandazioni o interventi di amici e parenti, il quadro è completo. La Sicilia è sempre più terra di assistenzialismo e sempre meno di opportunità reali. Fuga di cervelli, fuga di braccia, disinvestimenti, dismissioni di fabbriche: il fiume di denari che l’Europa ha messo da anni a disposizione della regione per uscire dalle sacche dell’arretratezza e della disoccupazione non ha dato altri frutti.
Occorre un immediato cambio di marcia. Occorrono coraggio e programmazione, onestà e investimenti mirati. Intanto sono al palo sia gli investimenti nel settore della cultura con uno stop di sei mesi al cinema e al teatro che avevano goduto di un rilancio grazie alle due recenti leggi regionali, sia gli investimenti nella formazione che attendono i bandi del Fondo Sociale Europeo. Gli uni e gli altri in un settore cruciale e particolarmente delicato, quello della cultura e della formazione professionale. Il secondo legato al primo, ed entrambi legati al mondo dell’industria, del commercio, dei servizi.
Ma si tratta adesso di dare risposte concrete e immediate. Da un lato rimettere in moto la macchina della cultura, una macchina che – è dimostrato – può produrre anche risultati economici oltre che di crescita della comunità. Dall’altro programmare una formazione professionale in linea con le possibilità di crescita del lavoro in Sicilia. E si tratta dei nuovi settori dell’occupazione, quelli passibili di maggiori investimenti, quelli che possono fare da volano all’economia dell’isola, quelli di cui il mercato ha davvero bisogno.
Dobbiamo chiedere agli Assessori competenti (al lavoro, alla cultura, all’istruzione, al turismo) uno sforzo congiunto per varare programmi che abbiano una sinergia, che conoscano un comune obiettivo, capaci di integrarsi a vicenda, di sviluppare una strategia che possa individuare le competenze individuali, i settori di produzione, gli incentivi per gli investimenti, le vie di sviluppo possibili.
E i direttori dei quattro dipartimenti devono essere capaci di sedere a uno stesso tavolo, di chiamare gli agenti sociali come gli imprenditori, per trovare insieme il bandolo di questa matassa che tiene ancorata la Sicilia a un sottosviluppo e a un degrado che non le fanno onore.
Non è impossibile farlo. Non è impensabile proporlo. Si tratta solo di buona volontà. Si tratta solo di mettere da parte l’idea di un lavoro individuale degli assessorati per favorire una strategia collettiva. Gli sforzi dei singoli – e ce ne sono stati – sono senz’altro da premiare, ma non possono bastare. C’è bisogno di uno sforzo collettivo e straordinario, c’è bisogno di un tavolo per la concertazione degli interventi.
Questo governo regionale, se vuole davvero cambiare le cose, si deve prendere anche questa responsabilità.