Stavolta l’amministrazione Obama ha preferito rimanere in silenzio: la diatriba valutaria con i cinesi è in corso da tempo, eppure in quest’ultima occasione l’ex Impero Celeste non è stato accusato di aver manipolato la propria divisa, lo yuan, nonostante la sua svalutazione sia ancora una realtà concreta e qualche pressione deve comunque essere esercitata in tal senso. Il Tesoro americano si è dovuto relazionare col Congresso tramite il suo rapporto semestrale sulle politiche monetarie dei principali partner; l’intento è quello di garantire una maggiore flessibilità proprio per quel che concerne lo yuan, ma i toni sono molto più bassi rispetto ai mesi scorsi.
Tra l’altro, il documento in questione ha avanzato anche delle critiche nei confronti del Giappone per la vendita unilaterale di yen ad agosto e ottobre, interventi che non sono affatto piaciuti a Washington. Le frizioni tra le prime due economie mondiali sono ormai note a tutti, se non altro in questa situazione si è preferito non accentuare il distacco. Secondo alcuni analisti ed economisti, gli Stati Uniti hanno pensato soprattutto alla fragilità della propria ripresa economica, un dato di fatto che impedisce per il momento di dar vita a una guerra commerciale con la Cina. Quest’ultima, poi, non dovrebbe nemmeno rispondere in maniera costruttiva alle pressione a cui si sta facendo riferimento, insomma la prudenza deve rimanere la parola d’ordine.
Come emerge dal rapporto, Pechino ha resistito in maniera ripetuta alle fortissime pressioni del mercato che le chiedevano di apprezzare la propria valuta: il tasso effettivo del paese asiatico si è caratterizzato ultimamente per una persistente e sostanziale svalutazione, nonostante le richieste esterne siano state piuttosto esplicite. Le cessioni monetarie di Tokyo, invece, hanno avuto luogo quando le condizioni di mercato e gli sviluppi economici globali imponevano magari un maggiore raziocinio, ma secondo lo stesso Tesoro a stelle e strisce questi atti unilaterali dovrebbero avere un effetto temporaneo.
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