Il sollievo per le minori tensioni sul mercato del credito è soffocato dai dati macro. Il 24 ottobre è il venerdì nero di un mese dalle tinte scurissime, in cui sono stati bruciati centinaia di miliardi di euro di capitalizzazione sulle Borse mondiali. Adesso, come ampiamente previsto da tutti gli esperti, è la recessione a fare paura, generando ondate di vendite, che lasciano spiazzati persino gli operatori. La crisi ha intaccato ormai anche l’economia reale e si rifletterà inevitabilmente sull’occupazione, i consumi, gli investimenti e i bilanci delle imprese. A questi livelli, i mercati scontano un peggioramento della congiuntura prolungato e severo. I dati macro rilasciati in queste settimane non sono incoraggianti.
Nel terzo trimestre, in Gran Bretagna, il Prodotto interno lordo è sceso dello 0,5%, molto più di quanto si aspettavano gli analisti. Negli Stati Uniti, le richieste di disoccupazione hanno superato il livello critico delle 400 mila unità ed è in continua crescita il numero di famiglie che non riesce più a pagare la casa. L’eco della crisi è arrivato anche in Giappone, dove il Nikkei ha perso il 12%, scendendo sotto gli 8 mila punti, per la prima volta dal 2003. I timori di recessione hanno contagiato anche i Paesi emergenti. Il Pil cinese è cresciuto del 9,9% nei primi tre trimestri dell’anno, un incremento elevato se confrontato con i valori negativi dei Paesi occidentali, ma inferiore ai tassi registrati negli anni passati. Anche in Corea, la crescita è stata la più bassa degli ultimi quattro anni. In America latina, il governo argentino ha annunciato la nazionalizzazione dei fondi pensione, alimentando la paura di un nuovo default, nonostante le rassicurazioni della Banca centrale. La notizia ha fatto crollare le Borse di tutta l’area. In una settimana che ha messo a dura prova persino i nervi degli operatori più esperti, l’unica nota positiva è la progressiva discesa dei tassi interbancari, che indicano una diminuzione dei timori sulla stabilità del sistema creditizio, dopo gli ingenti interventi dei governi e delle banche centrali di tutto il mondo. Ma è un segnale troppo debole, che non basta ad allontanare la crisi finanziaria.