Sono tre i punti principali della nuova intesa: innanzitutto i kazaki chiedevano un rimborso per i mancati introiti dovuti ai ritardi nelle estrazioni, dovuti alle difficoltà di esplorare il Mar Caspio gelato, e maggiori introiti. Pare che l’accordo su questo punto sia arrivato concedendo ai padroni di casa bonus e royalties che varieranno a seconda del prezzo di petrolio: in poche parole più il prezzo del greggio sale più loro guadagnano. I kazaki chiedevano anche un maggiore peso all’interno di Agip Kco per la compagnia di estrazioni statale, la KazMunaiGaz, che ha ottenuto in base al nuovo contratto, il doppio delle quote, passando dalle 8,3% possedute alle 16,8%, al pari di altre società straniere del calibro di Exxon, Shell, Total e naturalmente Eni, precedentemente titolari di quote per il 18,5%. Altre due società straniere, Conoco e Inpeco, limiteranno ulteriormente le quote in loro possesso. Il terzo punto invece riguardava la struttura organizzativa del consorzio, prima in mano ad Eni, ed ora maggiormente condiviso tra le società che ne fanno parte.
Eni-Kazakistan: accordo raggiunto
Dopo giorni di incertezze e passi indientro, Eni chiude l’accordo per lo sfruttamento di Kashagan , il più grande giacimento petrolifero scoperto negli ultimi anni. Sette anni fa veniva stipulato il primo contratto che sanciva la guida operativa dell’Eni, ma oggi, a causa dei ritardi nelle estrazioni e l’aumento dei costi, si è imposta la necessità di revisionarlo. Le trattative tra i kazakhi ed il consorzio Agip Kco a guida Eni andavano avanti da giorni ormai, e sembravano ormai arrivate ad un vicolo cieco.
Parte dei problemi nelle trattative rano nati in dicembre quando il colosso americano, Exxon, si era rifiutato di sottoscrivere la clausola che prevedeva la cessione di parte delle quote delle società straniere alla compagnia statale kazakha. In cambio delle quote, per le quali si parla di un prezzo tra 1,5 e 2 miliardi di dollari, Exxon ha ottenuto delle compensazioni su altri giacimenti kazakhi e la gestione condivisa.
Le trattative erano in stallo da agosto e Paolo Scaroni, dirigente del gruppo Eni, non era apparso ottimista, ma l’importanza del giacimento di Kashagan, ora che la minaccia dell’esaurimento del petrolio appare sempre più reale, con i suoi 350 mila barili al giorno ha imposto a Eni di cedere alle richieste, anche nell’ottica di ulteriori espolorazioni nella zona.
via|La Repubblica