I giudici hanno decretato il fallimento di Imco e Sinergia, le due holding del gruppo Ligresti, cui è poi riconducibile il gruppo Fonsai. Un fallimento pronunciato in virtù del rifiuto di prolungare ancora il tempo utile per poter mettere a punto il piano di ristrutturazione dei debiti, che – al momento della pronuncia – ammontavano a oltre 400 milioni di euro.
La Procura di Milano si era opposta al salvataggio, spiegando che non vi era certezza sull’apporto di nuove risorse finanziare che gli investitori avrebbero dovuto effettuare. Nel tempo concesso alla società sono stati raccolti solo 20 milioni di euro: evidentemente non quanto basta per conferire ai giudici la convinzione che il piano stesse procedendo lungo la strada idonea, complice il rifiuto delle banche di fornire il proprio supporto finanziario.
Alla luce di quanto sopra, i giudici del tribunale fallimentare di Milano hanno preferito accogliere la richiesta di fallimento delle due holding dei Ligresti, precedentemente avanzata dal pm milanese Luigi Orsi, titolare di un’inchiesta penale sul gruppo Ligresti, che vede indagato il fondatore Salvatore Ligresti per aggiotaggio e ostacolo agli organi di vigilanza.
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Nella sentenza, i giudici scrivono – tra gli altri elementi – che “le società non dispongono della liquidità per far fronte ai propri impegni, stimandosi, tenuto conto anche dei rischi fiscali, un deficit di cassa per la prima tra 29,8 e 32,1 milioni e per la seconda tra 52,2 e 72,6 milioni di euro”.
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Ma a generare, sostanzialmente, il fallimento delle holding è stato il rifiuto delle banche già esposte nei confronti della famiglia, e che si sono rifiutate a erogare un prestito ponte: Unicredit per 183,3 milioni, Banco popolare (42,9 mln), Popolare di Milano (35,5 mln), General Electric (30,8 mln), Banca Sai (21 mln), Popolare di Sondrio (6,7 mln) Monte dei Paschi (6,2 mln), Cassa Lombarda (3,9 mln) Hypo (2,5 mln) e altri istituti per 1,2 milioni.