Ritorna a far discutere lo scandalo JP Morgan relativo alle scommesse speculative sui derivati finanziari messe in atto dal Chief Investment Office di Londra, in particolare dal trader soprannominato la Balena londinese (London Whale) appartenente appunto alla divisione guidata fino a qualche tempo fa da Ina Drew, ora dimissionaria. Secondo il New York Times le perdite sui derivati di JP Morgan potrebbero raggiungere addirittura i 9 miliardi di dollari. Inizialmente si parlava di 2-3 miliardi di dollari, invece la perdita dovrebbe essere alla fine più che sbalorditiva se si considera il fatto che è stata generata da un un’unica divisione di trading sui derivati.
Lo stesso ceo della banca americana, Jamie Dimon, aveva ipotizzato un ammontare superiore ai due miliardi inizialmente preventivati, ma non fino a questa cifra. Il New York Times avrebbe ascoltato ex trader e dirigenti della banca, rivelando che la nuova stima di 8-9 miliardi di dollari sarebbe stata già discussa ad aprile scorso mentre nelle ultime settimane le perdite si sono accentuate a causa del tentativo della banca di ridurre l’esposizione delle proprie posizioni ad alto rischio.
► RISCHIO DERIVATI JP MORGAN DA 100 MILIARDI
Secondo alcuni analisti finanziari, la banca starebbe effettuando la vendita di titoli redditizi per limitare il costo da iscrivere a bilancio facendo così fronte a una perdita imprevista. Queste operazioni di compensazione potrebbero limitare i margini di redditività della big bank americana nei prossimi trimestri. Inoltre, c’è da valutare anche l’impatto sul piano di buyback, che è già stato sospeso.
► SCANDALO BARCLAYS PER MANIPOLAZIONE LIBOR
In attesa della diffusione dei dati di bilancio del secondo trimestre dell’anno, che avverrà il prossimo 13 luglio, Jamie Dimon ha assicuratonelle sua audizioni parlamentari che JP Morgan mostrerà nel trimestre in corso un bilancio “solidamente redditizio”. A rischio ormai non c’è solo la riduzione dei profitti della banca ma la credibilità dello stesso Dimon, che più volte ha dichiarato che non serve più un’eccessiva regolamentazione del settore finanziario e che regole troppo stringenti sarebbero controproducenti.