I Dim Sum Bond sono obbligazioni emesse in valuta cinese da aziende non cinesi e rivolte ad investitori che dispongono di yuan (renminbi) fuori dalla Cina. Le aziende europee possono emettere questa tipologia di bond, ma devono rispettare alcune criticità tecniche come la non convertibilità dello yuan – che limita parzialmente l’appeal per queste emissioni – e i possibili ostacoli fiscali legati al paese di provenienza degli investitori. Tuttavia, la richiesta per questi bond è in continuo aumento. Nel 2011 le emissioni sono balzate a 18 miliardi di dollari dai 6 miliardi del 2010.
Il mercato dei Dim Sum Bond, in realtà ancora in erba ma con enormi potenzialità di crescita, vede l’80% delle società emittenti in Asia e solo il 9% in Europa. Tra le aziende del vecchio continente le più attive sono quelle tedesche e francesi, mentre quelle italiane restanano ancora fuori da questo mercato. Aziende come Volkswagen, Bosch, BP, Siemens hanno già fatto uso di questi strumenti. Per investire in Dim Sum Bond è necessario che gli investitori abbiano disponibilità di yuan.
Attualmente gli investitori con magggiori risorse finanziarie denominate in yuan si trovano a Hong Kong e Singapore. Nella prima metà del 2011 i depositi in valuta cinese a Hong Kong era balzati a 550 miliardi di dollari dai 63 miliardi del 2009. Il trend è in costante crescita, in attesa di conoscere i dati ufficiali del 2012. Lo yuan non è però convertibile, per cui è possibile reinvestire i proventi derivanti dal suo costante (ma graduale) apprezzamento sui mercati valutari solo in Cina o appunto nelle emissioni in Dim Sum Bond.
Il mercato obbligazionario cinese, nonostante le restrizioni imposte dal governo locale, è in continua espansione grazie alla progressiva internazionalizzazione dello yuan. Ad oggi solo il 9% degli scambi commerciali tra la Cina e l’estero è regolato in yuan, ma il boom dell’economia cinese – che ha portato il Dragone a diventare la seconda potenza economica mondiale – dovrebbe far aumentare presto questa percentuale. Qualcosa inizia già a muoversi: a settembre la Cina ha annunciato di voler regolare gli scambi di petrolio con la Russia non più in dollari americani ma in yuan cinesi.