L’insediamento del nuovo esecutivo giapponese è stato salutato ieri con un rialzo dell’1,49% dalla borsa di Tokyo, sempre più protagonista tra le piazze finanziarie mondiali. Dai minimi di area 8.619 punti di metà novembre scorso, il listino azionario nipponico Nikkei-225 ha guadagnato il 18,7% spinto dalle aspettative di formazione di un nuovo esecutivo che, dopo la vittoria alle elezioni politiche del 16 dicembre, si è insediato ufficialmente ieri. Il nuovo premier sarà Shinzo Abe, 58 anni, nazionalista e alla guida del partito dei liberaldemocratici.
Abe prende il posto di Yoshiniko Noda del partito democratico. Il neo-premier del centro-destra ha intenzione di combattere duramente la deflazione e di promuovere la svalutazione dello yen, attraverso una maggiore collaborazione con la Bank of Japan. Grazie al crollo dello yen sui mercati valutari, le aziende esportatrici giapponesi stanno mettendo il turbo alla borsa di Tokyo. La valuta nipponica è scesa sui minimi da settembre 2010 sul dollaro americano, con il rapporto di cambio sempre più vicino a quota 86.
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Secondo Greg Andersen, currency strategist per Citigroup, ai primi di gennaio 2013 potrebbe esserci un deciso rimbalzo dello yen, che negli ultimi giorni potrebbe essere sceso a causa dei bassi volumi di scambio dovuti alle festività natalizie. La borsa di Tokyo sta approfittando della debolezza dello yen e del programma aggressivo del neo-premier per recuperare terreno. Ora da inizio 2012 il Nikkei-225 guadagna il 19,7% circa. Abe ha dichiarato di voler “combattere la forza dello yen” ed è sostenitore di massicce politiche di stimolo fiscale per rilanciare l’export e, quindi, l’economia del paese del Sol Levante.
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Abe, non a caso, ha sostenuto la candidatura di Taro Aso a ministro delle Finanze, uno dei grandi sostenitori delle politiche di stimolo fiscale che Abe ha intenzione di lanciare nei prossimi mesi. Tra gli analisti c’è grande ottimismo sulla possibilità che la borsa giapponese possa continuare a correre nel corso del 2013, ma la grande sfida sarà quella di continuare a sostenere una politica monetaria ultra-espansiva senza però far alzare i rendimenti. Sullo sfondo c’è il rischio di nuovi downgrade sul rating sovrano del Giappone da parte delle agenzie di rating.