La difficile situazione di Monte dei Paschi di Siena trae (anche) origine dall’operazione che, cinque anni fa, condusse Rocca Salimbeni a porre le proprie mani su Banca Antonveneta. A ciò si aggiungano i buchi lasciati dagli impieghi in Btp e dalle operazioni Alexandria, Santorini e Nota Italia, generatrici di un gap di bilancio recentemente coperto, almeno provvisoriamente, con i Monti Bond. Ma come cercare di superare definitivamente la crisi dell’istituto di credito più antico d’Italia?
A proporre una possibile soluzione è stato Marco Panara, sull’edizione online de La Repubblica, che prefigura alcuni interessanti senari evolutivi della banca toscana che – stando al top management e alle autorità di vigilanza – sarebbe comunque piuttosto solida sul fronte del patrimonio e della liquidità (vedi anche Mps ecco perché la banca non fallirà).
“Quanto al futuro” – riassumeva poi Panara – “oggi le ipotesi sono tre: ne uscirà da sola, realizzando il piano industriale ambizioso che è stato già avviato e ottenendo i risultati previsti nonostante il contesto difficile dell’economia italiana. Se così fosse, e in seguito all’aumento di capitale da un miliardo senza diritto di opzione, alla fine del percorso potremmo trovarci un Monte dei Paschi autonomo, con un azionariato in cui la Fondazione avrà una quota minoritaria e sarà affiancata da investitori finanziari internazionali”.
Se questa via d’uscita – tra l’altro preferita dal top management bancario – non dovesse concretizzarsi, vi è una seconda possibilità, “quella dell’arrivo di un partner non finanziario ma industriale, ovvero di una banca con le spalle larghe (l’ufficio studi di Mediobanca fa il nome di Bnp Paribas, che è già presente in Italia con Bnl) che si compri tutto, o si fonda con il Monte. Per Siena sarebbe la soluzione meno felice perché potrebbe perdere il quartier generale della banca che è la maggior fonte di reddito della città” (vedi anche Mps bilanci truccati da Mussari secondo Bankitalia).
Ultima chance, forse meno gradita dalla banca, è quella della nazionalizzazione. “Una nazionalizzazione” che, conclude Panara, sarà “probabilmente temporanea il cui esito finale potrebbe essere solo la cessione ad un altro gruppo bancario italiano o estero. La possibilità concreta di una cordata stabile di azionisti italiani industriali sembra poco probabile (viste le esperienze recenti) e anche poco auspicabile, perché in generale non è bene che chi fa industria controlli le banche”.