L’Osservatorio di Accenture – Agici ha fotografato la situazione delle grandi utilities del vecchio Continente. Una fotografia certamente negativa, che tuttavia mostra come i grandi gruppi energetici d’Europa abbiano risposto meglio alla crisi rispetto a quanto avviene nel nostro Paese. La scommessa sulle rinnovabili e sull’efficienza energetica sembra essere obbligata fin dal breve termine.
Il contesto nel quale hanno operato – e opereranno – le utilities italiane ed europee non è affatto semplice: calo della domanda di energia, termine degli incentivi statali, aumento della concorrenza, taglio dei costi delle aziende del ettore energia, e ancora chiusura di impianti economici, investimenti limitati alle rinnovabili ed efficientamento legato alle reti intelligenti, sono i contorni principali di quanto sta accadendo sul comparto energetico (vedi anche Crisi settore Utility 2012).
Facile effettuare un confronto differenziale tra quanto accade nel nostro Paese e quanto accade fuori dai confini nazionali. Per quanto riguarda i secondi – affermava La Repubblica in un suo approfondimento – “i grandi gruppi dell’Eurozona, da Edf e Gdf Suez, da Enel a E.on, nonostale la crisi, risultati che vengono definiti dal rapporto come “incoraggianti”: nel corso dell’ultimo anno il fatturato è cresciuto del 22%, l’utile del 2% e il debito del 4%. In sostanza, il business cresce anche se si fa fatica a tenere costante il livello dei profitti. E il livello dei debiti non cresce soltanto a fronte dei massicci disinvestimenti: nel 2012 hanno toccato la cifra record di 35 miliardi”.
Di contro, ben più difficile è la situazione del nostro Paese, dove le prestazioni delle utilities italiane non sembrano reggere il confronto con i competitors europei. “Riproponendo” – chiosava il quotidiano – “così il tema dimensionale e della necessità di una politica di aggregazioni. Lo dicono i numeri: nell’ultimo anno mentre il fatturato è salito del 20% e i debiti del 4%, dimostrando di essere in linea con il resto del continente, gli utili sono crollati del 22%. A consentire alle aziende italiane di reggere l’urto con la crisi è soprattutto la struttura industriale, organizzata in più settori di attività” (vedi anche Investire in azioni europee a fine 2012 secondo Ubs).