I ministri economici di Italia, Francia, Spagna, Germania e Regno Unito (il paese che non la vuole) ne hanno discusso a Parigi e, alla fine, il ministro Padoan ha ammesso di «sperare in una dichiarazione comune nell’Ecofin» di martedì prossimo. Niente di più. E già questo non sarà facile.
Sulla carta pare un’idea naturale; nella realtà, si fa fatica a farla funzionare. In Italia la versione contenuta della Tobin Tax, stando ai calcoli del Credit Suisse, avrebbe fatto crollare i volumi degli scambi a Piazza Affari di più del 30% in un anno. I tecnici della Commissione Ue «non hanno motivo di confermare i dati». Così il lavoro degli undici governi che in sede europea hanno deciso di varare l’imposta sembra ancora più in salita. Una fonte diplomatica afferma che «alcuni progressi sono stati compiuti, ma su questioni importanti – come l’ambito della tassa, il calendario dell’introduzione e il prelievo – siamo ancora fermi». Se va bene, aggiunge, «ci troviamo a metà del cammino».
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Molto controversa è l’opportunità o meno di tassare tutti i derivati, solo quelli da titoli azionari, oppure escluderli del tutto. Un’altra è la natura dell’organismo destinato a percepire la tassa, se nel mercato di origine dell’operatore o nel paese in cui la transazione è avvenuta.
Prossimamente i greci che sono i presidenti di turno sottoporranno la questione all’attenzione dell’Ecofin. «Credo nella possibilità di convergere su un accordo», ha dichiarato a Bloomberg il responsabile Ue per la Fiscalità, Algirdas Semeta, spiegando che lui sarebbe pronto a lavorare per «sostenere qualunque intesa, purché non crei distorsioni».