E’ crisi aperta in Venezuela. Ed è crisi, di conseguenza, per il Bolivar.
Malgrando apparenti aperture degli ultimi giorni, il leader Maduro e i suoi ministri non hanno liberalizzato il tasso di cambio ufficiale, fisso a 6,3 bolivar per dollaro, anche se al mercato nero un dollaro è oggi scambiato contro 187 bolivar, evidenziando un deprezzamento del 96% in confronto al tasso fisso imposto dal governo.
Nel 2014, l’inflazione dovrebbe essersi aggirata al 64%, la più alta nel pianeta, mentre il prodotto interno lordo sarebbe calato di quasi il 3%. A peggiorare di molto la crisi c’è stato il crollo del prezzo del petrolio, ridottosi a più della metà in appena sei mesi, rappresentando il 96% delle esportazioni di Caracas e delle sue entrate di dollari.
Malgrado ciò, Maduro non ha alcuna intenzione di lasciare oscillare liberamente la moneta, rendendo sempre più dure le correzioni che l’economia locale necessita per uscire dalla crisi. Un bolivar libero di fluttuare contro il dollaro non solo permetterebbe al paese di approvvigionarsi dei beni di cui ha bisogno, ma aumenterebbe le entrate della compagnia petrolifera PDVSA. In ogni caso, il governo ha paura che l’inflazione già altissima esploderebbe ancora di più, a causa dell’aumento del costo dei beni importati, mentre un altro timore forte riguarda il boom del debito. Gli esperti:
Il Venezuela detiene un debito pubblico denominato in valuta straniera, comprensivo delle emissioni della statale PDVSA, pari a 68 miliardi di dollari, meno del 10% del pil nominale. Ma se il bolivar si portasse, per ipotesi, al cambio vigente sul mercato nero, tale indebitamento equivarrebbe intorno al 200% del pil. Sarebbe default immediato, anche se con il passare del tempo si dovrebbe certamente avvertire un miglioramento del cambio, grazie al funzionamento del gioco della domanda e dell’offerta. Ma i mesi passano e le riforme annunciate da Maduro non arrivano.