Tra le numerose ipotesi per Mps che circolano in questi giorni, quella con Ubi Banca rimane l’unica alternativa realizzabile, stando agli analisti di Equita. Appare evidente che allo stato attuale l’unica alternativa realizzabile è un merger con Ubi Banca, come dicono in una nota di oggi gli analisti della sim.
Secondo fonti di stampa, il governo avrebbe studiato un piano di fusione con BancoPosta, operazione già smentita, un deal irrealizzabile dal momento che BancoPosta non ha licenza bancaria e dunque non può erogare prestiti. In più il patrimonio di BancoPosta non sarebbe in grado di finanziare post fusione la cessione di una parte rilevante dei crediti in sofferenza di Mps per completare il derisking.
In terzo luogo aumenterebbe in maniera sproporzionata l’esposizione ai titoli di Stato italiani, unica asset class su cui attualmente può investire BancoPosta. Con Unicredit e Intesa Sanpaolo che si sono defilate fin dall’inizio e tramontata anche la fusione a tre con Bpm, a questo punto Ubi resterebbe l’unica concreta alternativa strategica tanto che, per favorire il deal, si starebbe studiando lo scorporo delle esposizioni deteriorate (NPE) delle due banche pre fusione in un veicolo che verrebbe poi ricapitalizzato dai soci industriali.
Spiegano gli analisti di Equita:
L’operazione rispecchia quella che avevamo ipotizzato con lo spin-off sia dei crediti dubbi sia degli immobili non strumentali: anche con la garanzia pubblica sarebbe necessario un aumento di capitale per finanziare il conferimento delle sofferenze. Con 3,5 miliardi di euro di aumento di capitale la combined entity potrebbe cedere tutte le sofferenze al 28%, ripristinare il coverage dei crediti dubbi al 30% e avere un Texas ratio del 135% (il Texas ratio è il rapporto tra i crediti deteriorati lordi e il patrimonio tangibile più gli accantonamenti. Un rapporto pari all’unità, 100%, segnala che il peso dei crediti potenzialmente a rischio di una banca è uguale a quello del suo capitale, mentre se supera l’unità evidenzia uno stato di difficoltà, in quanto non basterebbe, in teoria, l’intero capitale detenuto a fronteggiare le perdite).