La situazione Alitalia continua ad essere centrale sia nel settore pubblico che in quello privato: sono arrivate le prime modifiche al piano industriale apportate dal consulente Roland Berger e sembra che in materia di esuberi la questione sia cambiata.
E non in meglio da quel che è emerso. Presenti ieri a Roma direttamente o meno tutti gli interlocutori coinvolti, è apparso immediatamente evidente che a farla da padrone, ancora una volta sarebbe stata la necessità di trovare un intesa “per forza” su come evitare che Alitalia continui a bruciare fondi senza crescere. James Hogan, vicepresidente pro tempore di Alitalia era presente anche in rappresentanza dell’altro socio forte: Etihad. Il consiglio di amministrazione è durato tre ore e tutti si sono trovati d’accordo sulla necessità di ridurre i costi: non è possibile perdere circa un milione di euro al giorno.
Il costo del lavoro è ancora tra i primi temi affrontati: su un totale di 3,6 miliardi di costi industriali esso incide per 593 milioni di euro, così parlano i dati relativi al 2015. Ed alcune voci vogliono, per questo motivo, che gli esuberi che si era pensato potessero rimanere tra i 600 ed i 1500 dovranno invece avvicinarsi alle 2000 unità, portando nuovamente Alitalia a doversi confrontare con il governo per le ricadute sociali. In quale direzione, è quindi lecito chiedersi, andrà il progetto di rilancio di Alitalia in tal senso?
Il ministro delle Infrastrutture ha sottolineato ancora una volta che “gli errori dei manager” non possono essere pagati dai lavoratori: questo porta a pensare che se verranno prese decisioni poco opportune per i lavoratori il Governo sarà pronto a dare battaglia. Una guerra già iniziata con gli accordi conclusi con Ryanair e Easyjet? Forse.
Tutto punterebbe alla necessità di Alitalia di rivedere l’approccio aziendale al ribasso in quanto a prezzi e per ogni cosa: l’apertura alle compagnie low cost spinge gli utenti ad appoggiarsi alle stesse che a differenza della compagnia di bandiera crescono e cercano personale.