Per quanto le accuse sul quantitative easing siano state rispedite al mittente, è impossibile non notare come la BCE sia effettivamente preoccupata dal supereuro che si sta profilando in queste settimane e che potrebbe portare l’uscita da questo particolare status ad essere più dolorosa del previsto.
Ormai sono due anni che il costo del denaro è pari a zero in Europa: un fattore questo che ha portato la Banca centrale europea a riempire le sue casse di circa 4000 miliardi di titoli. Almeno 1700 sono di tipo pubblico ed una crescita eccessiva della moneta unica correlata ad un’inflazione troppo bassa non è di certo un piano auspicabile per evitare che l’Eurozona rientri in una crisi proprio nel momento in cui dovrebbe esserne uscita del tutto. Vero è che la situazione europea, se confrontata con quella attualmente in corso negli Stati Uniti, appaia al momento “quasi” irrilevante: il corrispettivo americano di Mario Draghi, Janet Yellen, si trova infatti adesso in uno stato di stallo, attaccata sul fronte interno della politica sconsiderata di Donald Trump, dopo aver iniziato l’uscita dal quantitative easing due anni fa.
Il vero problema è che da qualsiasi punto di vista si guardi la situazione, sia i verbali della Fed che quelli della Bce sono caratterizzati dall’incertezza e dalla necessità degli esperti di verificare la situazione passo dopo passo e dato macroeconomico dopo dato macroeconomico al fine di non far cadere i propri paesi di riferimento in un possibile blocco. Quel che si attende, soprattutto in America, è la riforma fiscale di Trump: più la stessa ritarda più il dollaro si indebolisce portando l’euro a salire e creando le basi per condizioni, anche qui in Europa, di difficile gestione.
Il rischio è quello di movimenti di prezzi improvvisi ed imprevedibili, qualcosa che nessuna delle economie mondiali può effettivamente permettersi in questo momento.