Terre rare in Italia, perché non le estraiamo?

Perché non estraiamo le terre rare in Italia? O meglio: perché pur avendo a disposizione alcuni giacimenti di queste, non vengono sfruttati quanto potrebbero effettivamente e importiamo?

Perché non estraiamo le terre rare?

La domanda è legittima, soprattutto se pensiamo alla quantità di materie prime che dobbiamo importare. Per cosa? Per poter eseguire in modo corretto la transizione digitale ed energetica. Perché spendere per portare le terre rare dall’estero quando ne abbiamo alcune nel nostro paese? È questa la considerazione palese che esce dalla pubblicazione da parte dell’Ispra, Istituto di ricerca del Ministero dell’Ambiente, del database Gemma, acronimo di “geologico-minerario-museale-ambientale“.

Un rapporto che l’Europa ha richiesto con il Critical raw materials act e al quale abbiamo dovuto rispondere adeguatamente. Attraverso questo regolamento, l’Unione Europea è stato in grado di individuare 34 materie prime critiche relative alla transizione digitale e verde. E ha richiesto che i singoli Stati membri facessero un conto dei propri giacimenti, dando il via all’estrazione dove possibile. Per quel che riguarda le materie prime critiche l’Italia estrae solo due tra quelle che potrebbe ottenere. Ovveoro il feldspato da 20 miniere e la fluorite da due rispettivamente presenti a Silius in Sardegna e a Bracciano nel Lazio.

Questo nonostante, il rapporto lo sottolinea, In Italia vi siano diversi giacimenti di terre rare utili per la transizione sopra citata che potrebbero essere utilizzate per abbattere la dipendenza che la penisola ha rispetto ad altri paesi. Basti pensare ai giacimenti di tungsteno, cobalto, magnesite, manganese, litio, rame, grafite, barite, stronzio, bauxite e titanio.

Molto da recuperare con estrazione e riciclo

All’interno del rapporto viene sottolineato che, in base all’andamento dei prezzi di mercato e a quelle che sono le nuove tecniche di esplorazione, bisognerebbe rivalutare quei depositi conosciuti che al momento non vengono sfruttati. Senza contare che sarebbe possibile ottenere le stesse materie critiche riciclando gli scarti delle vecchie miniere. Si parla di almeno 150 milioni di metri cubi di materia prima attualmente considerabili esclusivamente rifiuti inquinanti che potrebbero trasformarsi in una risorsa.

Le terre rare sono particolarmente presenti sulle Alpi occidentali, sull’Appennino ligure emiliano, in Carnia, in Trentino e in Sardegna per quel che riguarda il rame. Il tungsteno è presente sulle Alpi, in Sardegna e in Calabria. Il cobalto è presente in Sardegna, in Piemonte. In Toscana abbiamo la magnesite mentre i sali magnesiaci sono presenti sulle Prealpi. Sotto al parco naturale del Beigua a Savona è presente il titanio mentre in Sardegna, in Puglia d nell’appennino centrale sono presenti le bauxiti dalle quali estrarre l’alluminio.

All’interno delle solfatare siciliane è possibile riscontrare lo stronzio mentre nei fluidi geotermici toscani, laziali e campani è possibile estrarre litio. Nella Sila, nel savonese e nel torinese è presente la grafite mentre la barite è stata scoperta in Trentino, nel bresciano e nel bergamasco.

Il problema, come spesso accade, è legato alle autorizzazioni da ottenere.