L’euro è ai massimi da tre anni e la faccenda inizia a preoccupare e non poco la BCE. Un conto è avere una moneta forte ed altro è il “supereuro” con tutte le sue conseguenze. Mario Draghi, intervenendo sulla questione spiega che è conseguenza, tra le altre cose, del quantitative easing.
Proprio questa mattina, alla vigilia del meeting della Banca Centrale Europea, la moneta unica ha fatto segnare un altro massimo nei confronti del dollaro a 1,2356 e la preoccupazione per il percorso dell’inflazione sale: si teme che possa non seguire la strada che la vorrebbe a poco sotto il 2% per non mandare in crisi gli Stati membri. In attesa della riunione di domani relativa alla guidance, dalla quale non ci si aspettano molte novità, Mario Draghi ha espresso il suo punto di vista sulla questione in una lettera ad un deputato europeo, all’interno della quale ha sottolineato come questa crescita dell’euro sia in parte un effetto collaterale del quantitative easing ma non l’effetto principale essendo mancato da parte dello stesso l’innesco di movimenti del cross euro dollaro “statisticamente significativi. E sottolinea:
Le oscillazioni sul mercato dei cambi restano un effetto collaterale di politica monetaria e non sono né il principale canale della sua trasmissione né il suo obiettivo.
Per quanto “comodo” da un certo punto di vista, il rafforzamento dell’euro rende meno accomodanti le condizioni monetarie dell’Unione Europa. Un esempio? A causa dell’apprezzamento dell’euro del 2% da inizio anno e con i rendimenti obbligazionari più elevati automaticamente sono diventate più restrittive le condizioni economiche, anche quelle dei mercati dei bond sovrani. Il tasso di cambio più forte poi, porta ad una riduzione dei prezzi che influenza negativamente l’inflazione: un fattore questo che potrebbe portare il q.e. ad essere prolungato oltre settembre 2018.