Cosa rischia l’Italia con la fine del quantitative easing? Non è un mistero che la Bce stia preparando il terreno in tal senso. Quel che è certo è che non aiutano, le semplici illazioni, a sostenere il mercato già destabilizzato e non poco tra i dazi di Donald Trump e i primi accenni di lavoro del Governo M5s-Lega.
Importante data da segnare: il prossimo 14 giugno a Riga si terrà la riunione chiave per stabilire i tempi con i quali azzerare gli acquisti di Bond. E stavolta vi è la conferma ufficiale da parte di Peter Praet, membro del comitato esecutivo della Banca Centrale Europea:
È chiaro che la prossima settimana il consiglio direttivo dovrà fare questa valutazione, se i progressi fatti finora sono stati tali da richiedere una graduale uscita dai nostri acquisti netti.
Anche il direttore della banca centrale tedesca Jens Weidmann si aspetta la fine del quantitative easing entro questo anno considerando “plausibili” le aspettative sull’azzeramento degli acquisti del Qe al fine di compiere “un primo passo nel lungo cammino verso una normalizzazione della politica monetaria [dato che] ci si aspetta che l’inflazione torni gradualmente verso livelli compatibili con la nostra definizione di stabilità dei prezzi“.
Il vero problema della fine del quantitative easing per l’Italia, che fino a qualche mese fa sembrava al riparo da potenziali problemi, risiede nel fatto che dovrà vedersela da sola con gli investitori internazionali che faranno pesare il debito pubblico del nostro paese nel corso delle aste con le quali vengono collocati i titoli di stato e non solo: cosa dire di un possibile rialzo dei tassi di interesse e di un Euribor che andrà ad influenzare anche i mutui? L’ultima parola, con molta probabilità, spetterà comunque al tasso di inflazione che deve trovarsi al 2% o nelle sue strette vicinanze per consentire dei veri cambiamenti.