Il Centro studi di Confindustria nella giornata di oggi ha dichiarato che lo spread effettivo tra i titoli di Stato Italiani e quelli della Germania è di 164 punti, calcolando lo scorporo di 300 punti base dovuti agli effetti contagio e alle indecisioni dell’Unione Europea sulle misure contro la crisi.
Lo studio disegna un quadro generale dell’Italia ben diverso da quello che invece si potrebbe rilevare con la sola lettura dei mercati e dei differenziali tra i titoli di Stato:
Secondo le stime del Csc, nel terzo trimestre del 2012 i fondamentali economici danno ragione di uno spread di 164 punti, contro i 495 quotati il 16 luglio. I 164 punti sono in linea con la media (155 punti) che gli stessi fondamentali avrebbero giustificato dall’inizio del 2007 in poi. L’incertezza sul futuro dell’euro e la sfiducia nella capacità dei governi dell’Eurozona di gestire la crisi spingono gli spread molto oltre i livelli giustificati dai fondamentali economici. Il Csc stima per l’Italia oltre 300 punti base di differenziale aggiuntivo tra i rendimenti del Btp e del Bund decennali: a tanto ammonta l’eccesso di spread rispetto ai 164 punti attualmente riconducibili ai divari tra Italia e Germania nel debito pubblico e nella crescita economica.
Tale eccesso si ripercuote sul costo del denaro pagato da famiglie, imprese e banche, accentua considerevolmente il credit crunch e, provocando la nuova e violenta recessione in atto, infligge gravosi e controproducenti costi economici, sociali e politici. Il maggiore spread causa, secondo i calcoli del Csc, perdite pari allo 0,9% del Pil e a 144mila posti di lavoro e maggiori oneri per interessi pari a 12,4 miliardi a carico del bilancio pubblico, 12,1 miliardi sui conti delle famiglie e 23,7 su quelli delle imprese.
I sacrifici, invece di essere premiati con l’abbassamento dei tassi di interesse, sono accentuati punitivamente proprio dall’andamento stesso dello spread, lasciato in balia degli effetti-contagio tra paesi in difficoltà e delle indecisioni e degli errori imputabili alle autorità europee.
Questo riporta lo studio di Confindustria, dando seguito a chi sostiene ormai da tempo che lo spread non può essere letto “passivamente” come un semplice indicatore di “pericolo”.