La fusione tra Fiat e Chrysler permetterà alle due compagnie di mantenersi in vita sui mercati internazionali. Un’operazione che è pertanto necessaria poichè – afferma l’amministratore Sergio Marchionne parlando dinanzi a una platea di operatori automotive a Detroit – le due realtà, singolarmente, non sarebbero in grado di sopravvivere alle difficoltà congiunturali.
“Solo un’integrazione può creare le economie di scala per produrre almeno sei milioni di veicoli all’anno e consentire gli investimenti su larga scala necessari per offrire nuovi modelli” – ha dichiarato Sergio Marchionne, sottolineando poi come la convergenza e l’integrazione tra le due realtà stia crescendo da diversi anni, e come “nel settore automobilistico la globalizzazione ha permesso di costruire catene di fornitura altamente sofisticate” (vedi anche il nostro più recente approfondimento sull’andamento del mercato auto nel corso del mese di marzo 2013).
Per quanto concerne l’evoluzione di tale transazione, la Fiat sta per risolvere il contenzioso con il fondo Veba, a sua volta legato al sindacato UAW, per stabilire che prezzo pagare per poter rilevare il 41,5% delle partecipazioni che non sono ancora in possesso del Lingotto, e ottenere così il controllo totale dell’azienda di Detroit. La decisione del tribunale dovrebbe arrivare entro fine giugno, e la fusione divenire realtà nel successivo 2014, quando il manager festeggerà il 10mo anniversario alla guida di Fiat (vedi anche il prossimo focus sulla fusione tra Chn e Fiat Industrial).
Marchionne si è infine scagliato contro i governi che hanno imposto dei regolamenti specifici per le tecnologie eco-sostenibili (e, all’interno dei confini di tali esecutivi, anche al governo californiano, che obbliga tutte le case automobilistiche a vendere un numero minimo di auto elettriche ogni anno). “Anche tenendo conto di tutti i sussidi offerti dallo stato, perderemo 10.000 dollari per ogni 500 elettrica venduta in California” – ha detto l’amministratore delegato di Fiat – “Produrla su larga scala sarebbe quindi una sorta di masochismo industriale”.