C’è chi sosteneva che i mercati emergenti avevano fatto il loro percorso, temporaneamente arrestatosi a causa della crisi finanziaria mondiale e dell’impennata dei costi delle derrate alimentari. Ma è davvero così? In realtà i grandi nomi della finanza continuano a puntare su di essi e gli investimenti ad indirizzarsi verso i paesi africani e asiatici. Deutsche Bank ha stilato un report sugli hedge funds secondo cui proprio il continente africano e i paesi mediorientali saranno i top performer. Ebbene sì, perchè i mercati emergenti la loro crescita la stanno proseguendo ed è una crescita magari più contenuta ma anche più consolidata, più strutturale, che attira non solo le speculazioni del momento ma anche investimenti di lunga durata, che puntano alle loro infrastrutture ed ai loro consumi.
Ordonez, membro del consiglio direttivo della Bce, intendeva proprio questo quando ha defintio i paesi emergenti “più pronti rispetto al passato ad affrontare le crisi finanziarie”. Certo le sfide che devono affrontare risultano più ardue ancora forse di quelle che stiamo affrontando noi, l’inflazione e i costi delle materie prime, ma hanno probabilmente più risorse di noi per vincerle.
Anche i mercati azionari si distinguono per una maggiore capacità di “riscossa”: mentre le piazze europee e Wall Street si accontentano di tornare felicemente alla tranquillità, il Bovespa brasiliano segna i massimo storici. E questo nonostante i paesi del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) siano molto legati all’andamento del nostro ciclo economico.
E’ per questo che gli operatori tendono a puntare sui mercati emergenti sì, ma soprattutto su quelli che ancora devono emergere e che hanno un’economia ancora poco collegata all’andamento dei mercati dei paesi più sviluppati. Quindi appunto Medio Oriente, non per niente trainato dalle esportazioni di petrolio, o paesi africani.
Se oggetto di un investimento a lungo termine (minimo 3 anni) i paesi emergenti rappresentano anche un asset non troppo rischioso se considerata con la giusta attenzione la valuta su cui si punta: valute troppo legate al dollaro rischiano di essere ancora “volubili”. Con il tempo invece molte di queste (come la valuta russa) hanno trovato una loro autonomia, di pari passo con un maggiore consolidamento delle piazze finanziarie e delle società quotate sui listini.
Proprio queste ultime sembrano aver superato le società dei paesi industrializzati quanto a rendimento medio con una retribuzione maggiore del 30-40%. DWS Investments ha messo in luce come nel 2008 il rendimento medio dei paesi emergenti si attesterà sul 5,6%, anche se paesi come Brasile e Turchia potranno mettere a segno dei record, toccando dividendi vicino al 6,90%, contro quelli “occidentali”, attorno al 3,5%. Considerando una volatilità ormai simile a quella che si riscontra sui mercati delle principali piazze dei paesi industrializzati e una minore esposizione, quasi inesistente, alla crisi creditizia dei mutui subprime che ancora sta mietendo vittime eccellenti in Europa (vedi UBS), i mercati emergenti rappresentano ancora un buon investimento, forse non redditizio come negli anni passati quando la loro crescita era esponenziale, ma certo meno rischioso.