La Cina sta attraversando una fase di transizione storica fondamentale per il suo futuro, dopo un decennio costante di crescita a ritmi spettacolari che hanno portato il Dragone a diventare la seconda potenza economica mondiale alle spalle degli Stati Uniti. Ora è iniziato il 18-esimo Congresso del Partito Comunista Cinese (Pcc), il più grande e potente del mondo. Saranno nominati i leader dei prossimi dieci anni. Il presidente uscente Hu Jintao lascerà il posto a Xi Jinping, che darà il via a un nuovo modello di crescita.
La Cina vuole portare avanti un progetto ambizioso, ovvero raddoppiare il pil entro il 2020 puntando più sui consumi interni che sull’export e aumentando il tenore di vita medio della popolazione. Il compito non sarà semplice, in quanto potrebbe essere raggiunto soltanto con una crescita del pil medio annuo del 7,5%. Il paese vuole puntare sui consumi interni, ma secondo gli analisti questa componente è ancora troppo debole a causa di un sistema di welfare state poco sviluppato che costringe i lavoratori a risparmiare il più possibile piuttosto che consumare.
Hu Jinato, all’apertura del Congresso nella Grande sala del popolo a Piazza Tienanmen, ha parlato ai duemila delegati del Pcc puntando il dito contro la corruzione che, secondo il presidente uscente cinese, rischia di “portare al fallimento del partito e dello stato”. La guida del governo sarà ora nelle mani di Xi Jinping e del nuovo premier Li Keqiang, sui quali gli esperti nutrono qualche dubbio sulle reali capacità di condurre la Cina lungo il sentiero delle sfide politiche, sociali ed economiche.
I due nuovi leader dovranno fronteggiare le lobby che si sono create in Cina durante il boom dell’ultimo decennio, in particolare nel settore immobiliare e tra le grandi aziende statali presenti nei principali settori dell’economia (energia in primis). Intanto, Liu Shyiu, vice-governatore della People’s Bank of China, ha dichiarato che l’economia cinese si è stabilizzata nel quarto trimestre del 2012 e che quest’anno il pil salirà del 7,5%, un tasso ritenuto indispensabile per mantenere i livelli attuali di occupazione e per evitare disordini sociali.