Sono stati pubblicati nel pomeriggio di ieri i numeri sul PIL statunitense. Le aspettative erano per una velocità di crescita annualizzata dell’ 1,9%, ma i dati sui primi sei mesi si sono attestati al 3,3%. Il dato quindi ha stupito positivamente gli economisti, ma serve cautela nell’interpretarlo. Sono molti infatti gli aspetti che potrebbero frenare l’ottimismo portato da questa crescita sopra le attese. A trainare l’economia degli Stati Uniti in questo semestre sono state le esportazioni in forte crescita, le quali hanno contribuito alla salita del PIL come non accadeva da quasi trenta anni (+3,1%). Le esportazioni tuttavia hanno beneficiato da una parte di un dollaro decisamente debole rispetto alle altre valute e dall’altra di economie importatrici (Europa e Giappone in primis) che non avevano ancora subito tutti gli effetti della crisi. Non è quindi scontato che nel secondo semestre la bilancia commerciale (export – import) possa continuare a migliorare visto il recente recupero del dollaro e i dati sulla crescita di Giappone e Europa.
A preoccupare gli economisti è la possibile evoluzione della domanda interna. Questo semestre i consumi sono cresciuti oltre le attese al tasso dell’ 1,7%, ma anche in questo caso è atteso un rallentamento. A luglio infatti la vendita al dettaglio ha fatto registrare un calo che seppur leggero evidenzia la tendenza a spendere meno. Stanno inoltre esaurendosi gli sgravi fiscali che il governo americano ha promosso al fine di favorire i consumi.
Segnali negativi arrivano poi dal mercato del lavoro mentre i prezzi delle case continuano a scendere anche se a velocità più basse di quanto era successo nei mesi precedenti. Il Dipartimento del Lavoro ha pubblicato ieri i dati sui sussidi di disoccupazione: le richieste sono state 425’000, in calo di 10’000 unità rispetto alla settimana precedente. C’è un leggero miglioramento, ma la cifra resta ampiamente superiore alla media registrata lo scorso anno: 321’000. La disoccupazione resta ai massimi dal 2003, ma dato ancora più importante è la crescita dei salari, incapaci di tenere testa all’inflazione. Il reddito medio dei cittadini americani è stato infatti stimato in crescita del 3% (crescita nominale, quindi non si considera il potere di acquisto), quando dall’altra parte l’inflazione è del 4,2%. La differenza tra inflazione e redditi ci fa quindi capire che la capacità di spesa è in deterioramento.