Exxon Mobil ed ENI:utile in crescita, ma sotto le attese


Sono stati divulgati ieri pomeriggio i dati trimestrali di due delle più importanti compagnie petrolifere al mondo. Exxon ha visto crescere l’utile netto a 11,7 Miliardi di dollari dai 10,3 dell’anno passato mentre Eni, con un risultato netto di 2,32 Miliardi di euro migliora del 4% la performance dello scorso anno. Significativo però il fatto che in borsa sia Eni che Exxon Mobil siano scese; -1,36% per la compagnia italiana, -4,7% per la compagnia statunitense.

Gli analisti infatti si attendevano risultati migliori e in particolare preoccupano quelli di Exxon. Se infatti Eni è stata penalizzata essenzialmente dalla Robin Hood tax, Exxon ha visto la produzione scendere del 7,8% per i problemi in Venezuela, Nigeria, Angola e Russia: l’utile è quindi in aumento solo per l’alto prezzo del petrolio.

In un contesto globale che vede le riserve di petrolio spostarsi in buona verso le compagnie di Stato (per esempio i casi del Venezuela, del Brasile, della Russia) è sempre più difficile per le società private trovare nuovi spazi per incrementare la produzione ed Exxon non ce l’ha fatta. Quest’anno però Eni ci è riuscita grazie ad acquisizioni di società estere (Burren Energy), acquisto di quote di giacimenti già scoperti (per esempio in Congo e nel Golfo del Messico) e all’avvio di trivellazioni in Egitto, Angola, Pakistan e Venezuela.

Da sottolineare poi il generale peggioramento dei margini sulla raffinazione; prezzi così alti della materia prima hanno ridotto gli utili delle raffinerie nel caso di Exxon persino del 54%.
Infine entrambe le società hanno annunciato ingenti investimenti: 14 miliardi di euro nel 2008 per Eni, 12,5 miliardi di dollari nel solo primo semestre per Exxon. La compagnia americana tra l’altro spende ogni giorno più di 50 milioni di dollari per cercare nuovi giacimenti.

Intanto il prezzo del petrolio continua a scendere, nell’ultima giornata di contrattazioni il calo è stato di 2 dollari a barile. A determinare tale movimento è stato il rallentamento della domanda dovuto in particolare alla deludente crescita dell’economia statunitense nel secondo quarto di questo anno (1,9% contro il 2,3% delle attese).

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