Eni, Poste e Ferrovie dello Stato potranno vedere essere vendute alcune delle loro quote attualmente in mano allo Stato. Un’idea che ovviamente conduce a parziali privatizzazioni che a seconda del momento vengono viste in modo positivo o negativo.
Eni tra le potenziali privatizzazioni
Ovviamente vendere quote di Eni, Poste e Ferrovie dello Stato consente all’Esecutivo di poter guadagnare della liquidità. Per come vengono presentate sembra quasi di essere ritornati indietro nel tempo quando oltre trenta anni fa si tentava di privatizzare il più possibile. Teoricamente per eliminare il problema della governance e della politicizzazione.
Il Def presentato dal ministro Giancarlo Giorgetti contiene un piano di privatizzazioni da 20 miliardi che per l’appunto coinvolge Eni, Poste e potenzialmente anche Ferrovie dello Stato. Si cerca di non dirlo troppo ad alta voce, ma in realtà quel che appare evidente che si tratti di un modo per poter intaccare quel debito pubblico da 2800 miliardi che ci portiamo sulle spalle.
Teoricamente, nonostante il debito pubblico, non esisterebbero le condizioni per le quali iniziare con una privatizzazione del genere. Sì, la liquidità fa sempre comodo, ma non fa comodo vendere o meglio svendere a fondi azionisti. Alcuni esperti portano l’esempio di Autostrade per l’Italia dove al momento Cassa depositi e prestiti se la deve vedere con Blackstone e Macquaire per i dividendi.
Cosa conviene fare davvero?
E se per quello che riguarda Tim sembra avere un senso vendere a KKR, al momento risulta ancora difficile comprendere il guadagno di una mossa simile. Anche se in percentuali più basse di capitale. Se prendiamo ad esempio le Poste, la prima privatizzazione è avvenuta nel 2015. Il ministero ha attualmente in mano direttamente il 29,26% del capitale mentre Cassa depositi e prestiti il 35%.
Al momento l’idea sarebbe quella di vendere il 20% o poco meno delle azioni in mano al Tesoro. Tecnicamente, fatto qualche conto, gli analisti spiegano che si tratterebbe praticamente di una operazione in perdita. Vi sarebbero più possibilità di crescita per i prodotti e i servizi finanziari piuttosto che per quelli pubblici di tipo postale. Quindi è difficile stabilire quale potrebbe essere il guadagno in tal senso per i contribuenti.
Se prendiamo in considerazione Eni, in realtà entra in campo il buyback. Eni ad aprile concluderà il suo piano di acquisti di 2,2 miliardi. Gli azionisti, alla fine di qualsiasi procedura, vedranno salire la propria quota dopo la sterilizzazione delle azioni acquistate, senza fare nulla. In questo caso il buyback avrebbe un ottimo effetto anche sulle quote statali: esse sono per il 4,6% in mano al Ministero del Tesoro e per il 27,4% in mano a Cassa depositi e prestiti. Il guadagno potrebbe essere migliore di quello di Poste ma non scontato.
Infine c’è Ferrovie dello Stato, per la quale si paventerebbe una procedura similare a quella non andata in porto nel 2014. Conviene davvero?