Le banche, sugli extraprofitti, si schierano contro il governo Meloni. E non poteva essere altrimenti, riflettendo su quello che è accaduto nelle scorse settimane.
Tassa su extra profitti costituzionale?
La tassa sugli extraprofitti ha ovviamente avuto delle conseguenze delle quali l’Abi ha deciso di mettere a conoscenza l’Esecutivo. Quella che potrebbe essere considerata la resa dei conti è giunta nel corso di una audizione al Senato sul decreto legge Asset. Il presidente di Abi Giovanni Sabatini è stato molto chiaro.
“Le banche sono già oggetto di una tassazione elevata”, ha sottolineato, “essendo previsto dal 2011 un’aliquota IRAP maggiorata al 4,65% in luogo di quella ordinaria fissata al 3,90%”. Dal 2017, ha spiegato, è presente “un’addizionale IRES pari al 3,5%”.
Per questa ragione “la comunicazione della decisione, senza alcun confronto preventivo anche con l’Abi, di introdurre l’imposta straordinaria una tantum” sulle banche “ha provocato sui mercati un impatto solo parzialmente poi attenuato. L’introduzione”, ha evidenziato, “di tale imposta straordinaria ha prodotto un vulnus alla fiducia riposta sul mercato finanziario italiano”.
Parole chiare che non lasciano scampo, insieme ad alcuni dubbi sulla costituzionalità della decisione. Secondo il presidente dell’Abi, infatti, questa imposta straordinaria solleverebbe dubbi di compatibilità con la Costituzione. E più nello specifico con il principio di uguaglianza dell’art. 3 e quello di capacità contributiva dell’art. 53.
Possibili problemi per le banche
Giovanni Sabatini ha chiamato in causa anche il fatto che una “misura fiscale di carattere discriminatorio” per essere considerata costituzionale deve rispondere a criteri specifici, ovvero quelli di “adeguata ragionevolezza“. Cosa che non sembra fare l’art. 26 del decreto legge proprio in merito agli extraprofitti.
Soprattutto per quel che concerne le banche visto che, come ricorda il presidente dell’Abi, quando si parla di extraprofitti viene chiamata in causa una condizione specifica. Ovvero quella nella quale una azienda che si trova in una situazione di oligopolio o monopolio, fissa i suoi prezzi ottenendo un profitto più alto rispetto a quello ottenibile in una situazione di concorrenza lecita.
Una condizione questa che non è peculiare delle banche. Ragione per la quale applicando il decreto legge ci si troverebbe davanti a una forte penalizzazione degli istituti. I quali a fronte di una maggiore difficoltà di accantonamenti prudenziali avrebbero più difficoltà a sostenere clienti e imprese. E sarebbero meno attraenti per eventuali investitori con ripercussioni sull’economia italiana.
Qualcosa che nessuno si dovrebbe augurare in un momento nel quale gli italiani, anche a causa dell’alta inflazione e dell’alto costo del denaro fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e a far fronte ai debiti.