Una nuova crisi finanziaria che nascerebbe dall’Italia. E’ questa l’ipotesi lanciata dal New York Times in questi giorni. Una possibilità spinta, sostiene il quotidiano, da tutta una serie di ingredienti che fanno parte della sua esistenza a livello economico.
Quali? Una grande quantità di debito, banche deboli, un governo “irregolare” e un’economia di livello che se dovesse crollare in qualche modo sarebbe in grado di infliggere danni collaterali seri anche fuori dall’Italia. Citando testualmente dall’articolo in questione “non bisogna essere italiani per preoccuparsi delle ripercussioni“. Si legge all’interno del New York Times:
La storia suggerisce che il mondo va incontro a un’altra crisi finanziaria: i piani di spesa populisti del governo di Roma, considerati spericolati da gran parte dei circoli finanziari, hanno causato picchi dei tassi di interesse sul debito italiano, minacciando di creare una cosiddetta spirale negativa che si propagherà su una economia in difficoltà. Il bilancio proposto ha messo in luce le cuciture della coalizione di governo, in cui una delle parti favorisce tagli alle imposte favorevoli alle piccole imprese mentre l’altra programmi di welfare estremamente costosi. Più in generale, ha diviso il governo populista, che ha promesso di portare avanti un bilancio che considera un imperativo politico, e l’establishment finanziario italiano che teme ciò che la spesa farà all’economia del Paese, alla sua credibilità e alle relazioni con l’Europa.
Un’analisi che non fa una piega e che si colloca all’interno di un fatto statistico che va riconosciuto: le crisi finanziarie tendono a ripetersi circa ogni dieci anni e se all’Italia ed alla sua condizione economica si aggiungono ciò che accade in Turchia a livello sociale ed economico, la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti e il rallentamento della crescita, gli ingredienti per il crollo ci sono tutti. Soprattutto perché le banche ora non hanno la stessa forza di prima e potrebbero non reggere il colpo.