Standard &Poor’s ha le idee chiare sull’andamento delle banche italiane: il miglioramento c’è stato e si vede. Ma al contempo ha diverse domande da porre, tra le quali la più importante è senza dubbio quella relativa all’effettiva guarigione degli istituti nostrani.
A prescindere da come li si voglia chiamare, i NPL (non performing loans, N.d.R.) o crediti deteriorati essi rimangono comunque il problema più difficile da risolvere per le banche italiane. S&P non lo manda a dire: nel suo rapporto “Italian banks will continue to heal in 2018” sottolinea come vi siano stati netti miglioramenti che secondo gli analisti dureranno anche nel prossimo anno, ma allo stesso tempo non si risparmia nell’esprimere perplessità sull’esito del prossimo voto e sulle politiche economiche del governo che verrà. Viene citata una “prognosi non del tutto chiara” in tal senso, citando come tra le altre problematiche le banche potrebbero doversi trovare ad affrontare una debolezza strutturale ed un’esposizione ai NPL che potrebbero influenzare il getto dei ritorni. Equita in qualche modo riesce a riassumere la situazione al meglio:
L’autorità sottolinea che la riduzione del rapporto NPL (-30 punti base su base trimestrale al 4,2%) indica che “sebbene lentamente, gli sforzi di supervisione stanno dando i loro frutti. Tuttavia, i risultati suggeriscono che permangono gravi impedimenti alla riduzione degli NPL, come processi giudiziari lunghi e costosi e mancanza di liquidità sui mercati secondari”. Dal 2016, l’Italia è uno dei paesi che ha registrato il calo più significativo del rapporto NPL (-3,5pp all’ 11,8%, -58 miliardi), ma la nostra impressione è che tale contrazione sia concentrata sui singoli nomi (UCG ovvero UniCredit -18 miliardi e BMPS Monte dei Paschi di Siena -27 miliardi).
Insomma, il nodo sta nel rispetto dell’andamento già in corso con il nuovo Governo: sarà possibile continuare su questa strada?