Standard & Poor’s conferma il rating dell’Italia mantenendolo a BBB con outlook negativo e forse in un momento in cui ci si aspettava di peggio, rimanere stabili rappresenta quasi un sollievo. Sensazione che non dovrebbe essere provata.
E le ragioni sono molto semplici: il paese è in recessione e si è ancora troppo vicini a quel voto che trasformerebbe i nostri titoli di Stato in “junk”, spazzatura che potrebbe renderci vittime di speculazioni di ogni sorta oltre che renderci meno appetibili nei confronti di investitori seri che ai rating delle agenzie danno molta importanza.
“Dovremo migliorare sicuramente ma per il momento va bene così“: ha commentato così il premier Giuseppe Conte a margine del forum Belt and Road a Pechino, aggiungendo che il giudizio era “aspettato”. Il punto è che nella realtà dei fatti tutta questa calma nei confronti di un voto del genere non dovrebbe esistere: esso rappresenta una delle ultime chiamate a “fare meglio” nei confronti dell’Esecutivo che è chiamato a far ripartire l’Italia onde evitare problematiche ancor peggiori di quelle già in atto.
Il fatto che sia stato dato un outlook negativo significa che in base ai dati attuali non è possibile ipotizzare un miglioramento sicuro della situazione italiana. Insomma, si tratta di un voto che non si può prendere assolutamente sottogamba: il paese risulta infatti essere in recessione e vi è il bisogno che la crescita riparta se si vuole tenere fede agli impegni presi con l’Europa. Secondo S&P la colpa di una simile valutazione è da dare ad un’inversione di tendenza sul fronte delle riforme ed alla volatilità della domanda esterna: in questo momento il debito privato cala, mentre quello pubblico aumenta.
L’agenzia di rating sostiene che sia palese “un marcato deterioramento delle condizioni finanziarie esterne” sia per il Governo che per le banche italiane: ad indebolire la tenuta italiana, secondo S&P, sono i continui cambiamenti politici e le politiche intraprese che stanno portando ad una rigidità dei salari e del mercato del lavoro.