Sono passati circa dodici mesi da quando Mario Draghi lanciò il ‘Bazooka’. Da allora il Quantitative easing, ovvero il programma d’acquisto di titoli da 60 miliardi al mese che ha compreso anche i bond sovrani, avrebbe dovuto riportare l’inflazione verso l’obiettivo vicino al 2%.
I risultati?
Alla fine di febbraio, nel bilancio Bce erano entrati quasi 600 miliardi di titoli pubblici. In pancia alla Banca centrale europea ci sono titoli pari al 25% del Pil dell’Eurozona, mentre la Fed si è spinta fino al 27% dell’economia Usa: ormai il sorpasso del programma europeo su quello americano è alle porte. Ma dodici mesi dopo il varo del Qe, il mercato chiede ancora di più al governatore italiano, alla luce del rallentamento della ripresa globale, della crisi dei mercati cinesi e soprattutto dei nuovi segnali di debolezza sul fronte dei prezzi. Ora, gli analisti si attendono una proroga del Qe oltre il marzo 2017 (di almeno altri 3-6 mesi), il taglio dei tassi sui depositi presso la Bce dal -0,3 almeno al -0,4% e un aumento degli acquisti almeno a 70 miliardi al mese.
In attesa di capire se Draghi deciderà di assecondare queste attese, la riflessione si concentra su cosa ha funzionato o meno durante quest’anno di Qe. In un report che Fadi Hassan, professore di economia al Trinity College Dublin, ha realizzato per Unicredit, si chiarisce che “il programma ha avuto successo nel contrastare un ulteriore peggioramento dell’inflazione, ma non nel raggiungere l’obiettivo” di crescita dei prezzi. Un’asticella che il mandato affidato alla Bce indica in una dinamica vicina al +2% nel medio termine; mentre, dati Eurostat alla mano, l’inflazione è risultata in negativo a febbraio. Quel che preoccupa, tornando al report, è che “difficilmente una ulteriore espansione del programma offrirà sufficienti stimoli all’inflazione”.