Il Fondo Monetario Internazionale ha deciso di tagliare le stime di crescita dell’Italia per l’anno in corso, ma ha alzato quelle del 2012. In realtà, l’aumento delle previsioni di crescita del pil nello scorso anno somiglia tanto a una vittoria di Pirro, in quanto è una magra consolazione in una fase comunque di grave recessione. Per il 2013 il Fmi ha tagliato la stima sul pil a -1% da -0,7%. Secondo l’istituto di Washington guidato da Christine Lagarde, quest’anno tutta la zona euro resterà in recessione con un calo medio dello 0,2%.
Gli esperti del Fmi applaudono comunque le recente mosse dell’Italia, che secondo l’istituto non aveva alcuna scelta se non risanare i conti pubblici anche a discapito della crescita. Olivier Blanchard, chief economist del Fmi, ha sottolineato che l’Italia non aveva molte alternative all’introduzione di dolorose misure fiscale per mettere a posto i conti pubblici. Blanchard ha sottolineato che comunque il paese ha “ritrovato la fiducia dei mercati” e questo è un fatto molto positivo che ha un impatto deciso sullo spread.
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L’epserto del Fondo ha dichiarato che “le misure di aggiustamento dei conti, prima del governo Berlusconi e poi del governo Monti, hanno avuto effetti avversi sulla crescita ma la questione è se ci fosse un’alternativa”. Alla presentazione delle stimee aggiornate del Fmi sulla crescita globale, contenute nel report World Economic Outlook, il capo economista del Fondo ha evidenziato che, dopo una fase di forte pressione sui mercati, “gli spread sui titoli di stato italiani sono calati e il paese ha il più elevato avanzo primario in Europa”.
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Il Fmi ha, dunque, tagliato le stime per il 2013 a -1% da -0,7%, ma ha aumentato leggermente quelle relative al 2012: il calo del pil dovrebbe attestarsi a -2,1% e non più a -2,3% (come stimato a ottobre scorso). Per quanto riguarda, invece, le proiezioni al 2014 il Fmi prevede sempre una leggera crescita dello 0,5%. Per ciò che concerne la zona euro la stima sul 2013 passa a -0,2% da +0,1%. Negli Stati Uniti si prevede una crescita dell’1,4%, in Cina dell’8,2%.