Le materie prime sono sempre più in crisi, così le dimensioni delle miniere vengono ridotte a dismisura.
Il mercato non crede più alla “diversificazione”: avere proprietà in più campi, dal carbone ai diamanti, in modo da compensare con i guadagni delle materie più richieste le perdite dei minerali a più scarsa domanda di mercato.
Ultima, in ordine di tempo, ad abbandonare la “diversificazione” è Anglo-American, numero cinque al mondo delle “commodities”: la società ha aggiornato il piano di tagli e di ridimensionamento delle attività annunciato nel luglio scorso, rendendolo molto più drastico. A comiminciare dai posti di lavoro: in seguito alla vendita di asset per 4 miliardi, la multinazionale ridurrà l’organico di 85mila persone (contro le 53mila del piano precedente), il che equivale a una riduzione dei due terzi dei propri dipendenti (attualmente sono 135mila)
La società britannica, oltre a cedere attività e ridurre costi e investimenti, ha annunciato che non pagherà il dividendo nel secondo semestre di quest’anno e nel 2016. Il direttore generale, Mark Cutifani si è ovviamente giustificato sostenendo che le misure si impongono per “il sensibile peggioramento dei corsi delle materie prime che necessitano di misure più coraggiose”. Il numero delle divisioni di Anglo-American sarà così ridotto da sei a tre: De Beers (diamanti), materie prime per l’industria e materie prime “sfuse”; le spese per gli investimenti saranno tagliate di circa un miliardo di dollari entro fine 2016.
Il “responsabile” di questa situazione viene indicato nella Cina. Un inevitabile effetto boomerang: nell’ultimo decennio, l’espolosione dell’economia di Pechino ha spinto ai massimi storici le quotazioni delle società minerarie. Ma il rallentamento della produzione industriale ne sta ora causando la caduta precipitosa, accentuata dal fatto che – nel frattempo – le varie compagnie minerarie sono cresciute a dismisura, scommettendo su una crescita senza fine delle economie dei paesi emergenti.