Dopo una lunga maratona che ha costretto i leader politici americani a negoziare fino alle prime ore del 2013, negli Stati Uniti è stato raggiunto un accordo per evitare il fiscal cliff. Il via libera del Senato USA è arrivato due ore dopo la mezzanotte, per cui oltre la scadenza prevista per trovare un’intesa. Il testo è poi passato alla Camera dei Rappresentanti, dove è stato nuovamente al centro di un acceso dibattito. La Camera ha preso tempo, ma l’accordo è stato praticamente raggiunto. Oggi Obama firmerà l’intesa.
Dopo ben 11 ore di trattative si è raggiunto un compromesso in extremis. Il precipizio fiscale è stato evitato, ma restano molti punti interrogativi. L’aumento delle tasse ci sarà, ma colpirà solo il 2% degli americani per cui l’impatto non dovrebbe essere particolarmente rilevante sul bilancio federale. Senza un accordo sul fiscal cliff gli Stati Uniti avrebbero sperimentato una dolorosa recessione, in quanto sarebbero scattati i tagli alle spese e l’aumento delle tasse in modo automatico.
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Con l’intesa sul fiscal cliff avviene un aumento delle imposte sui redditi degli americani più ricchi per la prima volta dopo 20 anni. Tuttavia, per Obama non può essere una vittoria totale, visto che il suo obiettivo era tassare i redditi superiori ai 250mila dollari annui. Il presidente americano dovrà accontentarsi per ora di alzare la tassazione solo sui redditi superiori a 450mila dollari: l’aliquota aumenterà al 39,6% dal 35%. Per le successioni sui beni superiori a 5 mlioni di dollari, l’imposta salirà al 40% dal 35%. Aumenta anche l’aliquota sulle plusvalenze e i dividendi al 20% dal 15%.
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Si tratta di un aumento che riporta il livello della tassazione sui redditi da investimenti ai tempi dell’amministrazione Clinton. In questo modo Barack Obama vuole raccogliere circa 600 miliardi di dollari nel giro di 10 anni. Obama ha comunque espresso una moderata soddisfazione per l’accordo raggiunto in extremis, anche se ha sottolineato che “né i Democratici né i Repubblicani hanno ottenuto quel che volevano”.