Con la fine del caldo torrido e di questa estate 2011, nessun sollievo per l’economia italiana, almeno, non ancora. Come ormai sempre più spesso avviene, i timori e i dubbi d’oltreoceano non tardano a sbarcare nel vecchio continente e le conseguenze si fanno presto sentire. L’economia americana non crea posti di lavoro: per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale la statistica ufficiale segna una variazione pari a zero. Il tasso di disoccupazione resta fermo al 9,1%. Il numero degli occupati resta invariato in agosto, il dato peggiore dal settembre dello scorso anno. Il Dipartimento del Lavoro ha anche rivisto al ribasso i dati dei mesi precedenti e ci si aspetta una ripresa debole.
In Italia quasi un lavoratore su 4 (23%) ha una occupazione “non standard”, ovvero non a orario pieno e non a tempo indeterminato: il 12%, è a part-time, mentre l’11% è un atipico (tempi determinati e collaboratori). Sono soprattutto le donne a lavorare part time e una buona quota di giovani (39%). È questa la fotografia che emerge i nel rapporto dell’Iref (l’istituto di ricerca delle Acli). Quanto agli effetti della crisi sulla qualità dell’occupazione, le Acli segnalano la progressiva diminuzione degli addetti alla manifattura tradizionale ed un aumento invece nei settori dell’alta tecnologia.
Sottoccupazione e sovraistruzione denotano l’incapacità di un mercato del lavoro di valorizzare risorse e competenze – sottolinea la ricerca -. Si è inoltre ormai consolidato in Italia un modello di specializzazione dell’occupazione straniera nel segmento basso del mercato del lavoro: gli immigrati svolgono i lavori più disagiati e meno remunerativi, anche se hanno credenziali formative utili a ottenere impieghi migliori. Dopo quindici anni di flessibilizzazione del mercato del lavoro – concludono le Acli – sembrano essersi consolidate due generazioni di lavoratori flessibili: giovani in ingresso nel mercato del lavoro, adulti per i quali la fase dell’inserimento lavorativo e’ terminata ma che si ritrovano nelle stesse condizioni contrattuali di partenza.
1 commento su “Lo spettro della recessione frena l’occupazione”