Sono attesi in data odierna, venerdì 23 luglio 2010, dopo la chiusura ufficiale delle Borse nel Vecchio Continente, i risultati dei cosiddetti “stress test” sulle banche europee più importanti, ovverosia quelle a più elevata capitalizzazione. Gli “stress test” per il sistema bancario europeo, sui quali anche gli Stati Uniti hanno fatto pressione affinché venissero sia effettuati, sia resi pubblici, forniranno una importante fotografia sullo stato di salute del sistema bancario europeo; le attese per l’Italia, in particolare, sono buone e, si stima, dovrebbero portare ad una promozione visto che i principali istituti di credito del nostro Paese soggetti al test (trattasi di Unicredit, Monte dei Paschi, Intesa Sanpaolo, Banco Popolare e Ubi Banca) hanno sofferto meno a causa della crisi e, comunque, nei mesi scorsi hanno effettuato delle operazioni di ricapitalizzazione e/o sono ricorsi al collocamento di obbligazioni per raccogliere mezzi freschi ed incrementare i propri indici di patrimonializzazione.
Ma cosa sono, in parole povere, gli stress test? Ebbene, trattasi di un vero e proprio check-up che, in caso di esito positivo, porta a giudicare la banca correttamente patrimonializzata, altrimenti in caso di bocciatura si rende necessario un aumento di capitale. A tal fine le banche, in funzione delle loro caratteristiche patrimoniali, vengono messe con gli stress test letteralmente “sotto sforzo” con delle simulazioni legate a variazioni dello scenario macroeconomico, finanziario e congiunturale.
Per arrivare a conclusione degli stress test ad un giudizio positivo o negativo vengono passati al setaccio gli asset della banca, dal portafoglio titoli alla qualità del credito e passando per tutte quelle attività che potenzialmente possono generare a livello di impresa delle potenziali perdite come ad esempio il possesso ben oltre determinate soglie di guardia di obbligazioni ad elevato rendimento e basso rating, ovverosia i cosiddetti “titoli spazzatura” che, quando la crisi finanziaria ha raggiunto il culmine, erano detenuti in portafoglio praticamente da tutte le banche del mondo.
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