L’ultima grande strategia adottata dalla Bce per risollevare l’inflazione e i mercati europei, ovvero il Quantitative Easing, è sicuramente l’argomento finanziario predominante delle ultime settimane.
Una manovra criticata aspramente da alcuni, osannata da altri. Non di certo una manovra priva di rovescio della medaglia. Basti pensare all’attuale situazione dei conti deposito, danneggiati (pare) proprio dal Bazooka lanciato da Draghi e dall’Eurotower:
Il conto deposito che offriva rendimenti lordi del 5% semplicemente per parcheggiare il denaro. Le banche hanno però superato la fase più acuta della crisi e da tempo non sono più costrette a offrire quei tassi pur di catturare liquidità. Con la Bce che allevia ulteriormente il costo della raccolta è verosimile che i tassi si riducano ancora di più nei prossimi mesi, con qualche distinguo però: La contrazione come sostengono gli esperti dovrebbe riguardare solo marginalmente i tassi di punta, che sembrano prossimi ai minimi fisiologici necessari per attrarre clientela.
Appare dunque opportuno considerare anche queste conseguenze quando si parla di Quantitative Easing. La manovra di politica monetaria supportata dalla Bce ha i suoi pregi ma, inevitabilmente, i suoi difetti. Sposterà alcuni equilibri fondamentali modificando gli assetti base.
La mossa della Bce potrebbe in altri termini finire con il creare un mercato a due velocità: da una parte le banche che devono lanciare nuovi prodotti, creare un portafoglio clienti o che per ragioni particolari pagano il denaro più della media dei propri competitor. Queste garantiranno ancora tassi di circa 2 punti percentuali superiori a quelli dei titoli di Stato perché sono interessate a mantenere prodotti a queste condizioni; le altre offriranno invece rendimenti inferiori all’1,5% e sostanzialmente usciranno dal mercato dei conti deposito, almeno per il momento.