Carige ha presentato di recente il suo piano di salvataggio ed il mercato dapprima tiepido è poi esploso nelle sue reazioni: esso prevede il coinvolgimento del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd). Sarà questo che convince poco?
Entriamo per un attimo nello specifico dello stesso: il piano di salvataggio prevede il rafforzamento del capitale per 400 milioni complessivi e si divide in due fasi: il punto iniziale è rappresentato dall’emissione di obbligazioni subordinate Tier 2 con meccanismi di conversione per un ammontare compreso tra 320 milioni e 400 milioni; ad esso poi si aggiungerà un aumento di capitale in opzione da 400 milioni (con assorbimento del prestito subordinato, N.d.R.).
In questo caso sono le banche stesse a salvare l’istituto genovese, uno dei più antichi in Italia. Il Messaggero si spinge più in là nel riportare alcune indiscrezioni che vedono Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi Banca, Bper e Banco Bpm concordi a partecipare a vario titolo economico: se ne saprà di più quando il comitato di gestione del Fitd convocherà il prossimo 30 novembre l’assemblea d’approvazione per ciò che concerne il bond da 320 milioni: un’emissione che toccherà i 400 milioni sopracitati se i grandi soci di Banca Carige decideranno di sottoscrivere un’ulteriore tranche di 80 milioni. Malacalza ha già fatto sapere che non intende partecipare a tale operazione, almeno è questo ciò che si evince da ulteriori indiscrezioni stampa.
Strano se si pensa agli sforzi che il rappresentante ha sempre fatto ed ha dichiarato di voler fare nei momenti più bui dell’istituto genovese. Potrà questo piano di salvataggio mettere in pericolo il sistema bancario? Di certo è bene essere molto cauti.