La crisi del debito sovrano, il crollo dei rating, la scarsa fiducia degli investitori stranieri e la recessione economica sono tra i principali fattori di negatività che hanno contribuito a far toccare il fondo al mercato italiano dei merger and acquisition (M&A), ovvero delle fusioni e acquisizioni. Il primo timestre dell’anno aveva già scattato una fotografia piuttosto nitida dello stato di salute dei M&A. Il trend è stato ampiamente confermato dal secondo trimestre, che porta così il bottino complessivo dei primi sei mesi dell’anno a 5,2 miliardi di euro.
Il controvalore totale delle operazioni di M&A in Italia è così sceso a un terzo rispetto ai valori dello scorso anno, quando l’M&A italiano sembrava poter uscire dal tunnel con un ammontare totale delle operazioni pari a circa 15 miliardi di euro. Il numero delle operazioni è in realtà aumentato, a 129 da 126, ma sono le grandi operazioni a mancare. Secondo l’ultimo rapporto “Corporate Finance” della società di consulenza Kpmg, il dato negativo dipende dall’attendismo degli investitori esteri.
Mancano del tutto le grandi operazioni, un po’ come gli ultimi granddi deal di Bulgari o Parmalat, taanto che il controvalore delle transazioni non ha mai superato singolarmente il miliardo di euro. Maximilian Fiani, partner della società di consulenza, ha fatto notare che “nel nostro paese storicamente l’andamento del mercato M&A è sempre stato strettamente correlato al ciclo”. A incidere negativamente sulle M&A made in Italy è anche l’andamento molto negativo del settore finanziario.
Nel 2008 l’Italia era in questo comparto nella “top ten” con sette deal al di sopra del miliardo di euro. Nei primi sei mesi del 2012, invece, sono state concluse solo 3 operazioni con controvalore complessivo pari a 30 milioni di euro. Il grosso è così arrivato quasi esclusivamente dal deal Edf-Edison (784 milioni di euro a cui andrà aggiunta l’Opa che il colosso energetico francese lancerà sulla compagnia italiana).