Lo Stato al 60% dell’ex Ilva solo nel 2024: e i sindacati non ci stanno. La suddetta quota di capitale arriverà a quel livello fra due anni, fattore non apprezzato dai rappresentanti dei lavoratori.
Cosa succede ora
In questi due anni la sua quota all’interno di Acciaierie d’Italia rimarrà ferma al 38%. Una decisione questa che gli analisti si aspettavano da qualche mese ma che è stata formalizzata in questo momento con il doppio accordo siglato tra Acciaierie d’Italia ed ex Ilva legato alla proroga dell’affitto delle strutture aziendali di Ilva in As e tra Arcelor Mittal e Invitalia con la quale è stato ridefinito l’investimento insieme al patto parasociale correlato.
Un accordo questo, come spiega AdnKronos, che seppure non gradito ai sindacati riconferma la governance scelta per l’ex Ilva. Questo significa che Franco Bernabé rimarrà presidente e Lucia Morselli amministratore delegato.
Per quel che riguarda il futuro, rimane confermato l'”ambizioso piano d’investimenti ambientali e industriali per circa 1,7 miliardi di euro fino al 2026, per la progressiva decarbonizzazione della produzione” e anche “l’assorbimento dei 10.700 lavoratori impegnati negli stabilimenti del gruppo“.
Quel che cambia, è evidente, sono le tempistiche del piano industriale che vede al momento confermati solo quelli che sono gli obiettivi di produzione per l’anno corrente.
Rinvio ex Ilva legato a non attuazione condizioni sospensive
Lo Stato ha spiegato che il rinvio legato all’ex Ilva dipende dalla mancata attuazione delle condizioni sospensive alle quali era stata vincolata la seconda capitalizzazione nel 2020. Ma lo stesso darà modo ad Acciaierie d’Italia di poter mantenere l’affitto del complesso aziendale e a Ilva di richiedere la revoca dei provvedimenti giudiziari sulla sede di Taranto. Ha spiegato l’ad Lucia Moselli:
Si tratta di una proroga importante, perché abbiamo tempo di terminare il piano ambientale e di impostare i prossimi investimenti, quindi è molto utile. E’ importante avere un orizzonte abbastanza lungo sul quale lavorare e lavorare per quelli che sono i piani e gli investimenti concordati per gli azionisti. Adesso è un’azienda autonoma, in utile.
Sarà più lento, ammette, l’assorbimento dei 10.700 lavoratori previsto dal piano, che dovrà avvenire con il supporto dei commissari, dell’Esecutivo e dei sindacati.
E come anticipato sono proprio loro a essere scontenti dell’accordo. Soprattutto perché è stato richiesto da tempo un incontro al Mise per discutere del problema. E per tentare di trovare una quadra sulla richiesta di cassa integrazione per circa 3 mila lavoratori di Taranto. Il segretario generale Fim, Renato Benaglia, proprio parlando con l’agenzia di stampa richiede a gran voce un incontro con il ministro Giorgetti.
Lo scopo, oltre a quello sopracitato, è quello di conoscere “i cambiamenti del piano industriale, gli investimenti, il rilancio produttivo, l’uso degli ammortizzatori e soprattutto la garanzia a che non ci siano esuberi“.