Parmacotto è a rischio fallimento. L’azienda sta andando incontro all’incubo dell’amministrazione straordinaria, che secondo il presidente del Consiglio d’amministrazione Marco Rosi sarebbe nociva in quanto inciderebbe in maniera negativa sul patrimonio del debitore.
In questo modo, Parmacotto non soddisferebbe le ragioni dei creditori poiché l’amministrazione straordinaria determinerebbe una riduzione o graverebbe l’azienda di vincoli ai quali non corrisponderebbe l’acquisizione di reali utilità.In altri termini l’amministrazione intaccherebbe il patrimonio del debitore, il controllo di controllo di Parmacotto, la Cofirm, senza andare incontro alle esigenze pendenti dei creditori. Per questa ragione il presidente Rosi ha chiesto di preservare la continuità aziendale (con la domanda di concordato in continuità) chiedendo di compiere atti di ordinaria amministrazione, come quello di disporre degli affidamenti inerenti a linee finanziari utilizzabili per scoperti di conto corrente, anticipi fatture.
Secondo molti esperti, in base ai dati di bilancio, l’unica salvezza per Parmacotto sarebbe un aumento di capitale. Magari con l’integrazione di un partner industriale eventualmente interessato a uno dei brand più importante del made in Italy. L’attivo patrimoniale nel 2013 è sceso a 119 milioni di euro (dai 131 del 2010). Scendono intanot anche i ricavi lordi ora attestati a 113 milioni di euro, con una riduzione di fatturato di 11 milioni rispetto al 2010.
In particolare è cresciuta l’esposizione debitoria ora a 132 milioni. I motivi sono elencati nel documento e rappresentano un interessante diapositiva della conduzione manageriale. Un mea culpa di Rosi che certo gli fa onore, ma gli interrogativi ora sono tutti legati ai posti di lavoro. Scrive Rosi che Parmacotto aveva «impostato una politica di sviluppo sul fronte della capacità produttiva con la costruzione di un centro di affettamento ideato per un mercato ad una domanda in espansione che oggi è sottoutilizzato» con conseguenze sui costi.