Un’offerta vincolante per la rete unica Tim-Open Fiber dovrebbe arrivare il prossimo gennaio 2023, preceduta da un accordo non vincolante entro novembre. È questa l’ultima indiscrezione in ordine di tempo sul tema.
Richiesta di proroga sui tempi
Notizie queste non confermate che però pongono davanti agli occhi di tutti una timeline interessante e differente da quella che era stata già stabilita nei mesi scorsi. Perché questo cambiamento? Semplice: e stato richiesto uno slittamento della deadline da parte di Open Fiber, Macquaire e Cassa depositi e prestiti.
Ovviamente si parla di una mossa che rientra in tutto ciò che è possibile fare in seguito alla firma del memorandum of understanding di maggio tra le parti. Quell’accordo che ha dato il via ufficialmente all’integrazione degli asset di rete delle due compagnie.
Una mossa che sebbene debba essere ancora discussa ha fatto bene di riflesso alle azioni di Tim, salite in modo sensibile il giorno Dell’indiscrezione. Se questa timeline dovesse essere confermata cosa succederà? Per comprendere quali possano essere gli sviluppi bisogna fare un passo indietro. Secondo le indiscrezioni arrivate dai media Cassa depositi e prestiti avrebbe esaminato il dossier e deciso di richiedere insieme agli altri investitori una nuova timeline. Il consiglio di amministrazione dell’ex monopolista delle comunicazioni deve ancora arrivare: all’ultimo incontro mancavano infatti i consiglieri di Vivendi. Frank Cadoret e Arnaud De Puyfontaine avevano già comunicato al presidente di Tim Salvatore Rossi che sarebbero mancati in consiglio di amministrazione. Ragione per la quale non hanno nascosto il loro stupore per la convocazione, anche se si è risolta con un nulla di fatto proprio per la loro assenza.
Sempre secondo indiscrezioni il nuovo cda sarà convocato il prossimo 26 ottobre e quindi prima della scadenza originale della vecchia deadline del 31 ottobre.
Cosa succederà con Tim
Per quel che riguarda Tim, secondo la maggior parte degli analisti, non ci si dovrebbe aspettare un’OPA da parte di Cassa depositi e prestiti. Puntare al 100% dell’azienda significherebbe nazionalizzarla: qualcosa di considerato poco fattibile. Non bisogna dimenticare infatti che Vivendi, a meno di un’offerta davvero cospicua non lascerebbe la sua quota di capitale. È più probabile che diversi fondi esprimano il loro interesse per Tim Enterprise, la branca che si occupa di cloud, data center e Internet of things.
Per quel che riguarda Vivendi, secondo gli analisti, i consiglieri vedrebbero di buon occhio l’uscita del presidente Rossi. E la ragione consta nel fatto che il manager non venga considerato in grado di rappresentare gli interessi di tutti.
Nelle prossime settimane sicuramente si capirà qualcosa di più.