Uno dei punti fermi del programma economico del presidente eletto Donald Trump è quello di aumentare l’occupazione negli Stati Uniti con un programma conservatore di produzione esclusivamente nazionale: la General Motors è la prima a ricevere una “minaccia” di nuove tasse in tal senso.
Prima di lei la Ford aveva preventivato un espansione oltre i confini, in Messico, per poter risparmiare qualcosa sulla mano d’opera ed investire in modo più sostanziale. Quello che era un’investimento di 1,6 miliardi di dollari in Messico è sceso a 700 milioni e verrà usato per ampliare lo stabilimento di Flat Rock già esistente in Michigan. Volendo tralasciare che solo il futuro e l’andamento dei prezzi stabiliranno se si tratterà di una soluzione vantaggiosa per i consumatori Donald Trump, allo stesso tempo e sempre attraverso il suo account, ha preso di mira la General Motors minacciando l’istituzione di una”border tax“, ovvero una “grande imposta doganale” per le auto che verranno prodotte all’estero e non sul territorio degli Stati Uniti. Attualmente uno dei modelli di punta dell’azienda automobilistica, la Chevy Cruz, è prodotto in Messico. Il suo tweet recitava: “Fatelo in Usa oppure pagate una consistente tassa“.
Per quanto in diversi casi maggiori regolamentazioni a livello economico potrebbero portare ad una sistemazione di alcune problematiche relative al commercio negli Stati Uniti, un eccessivo accanimento contro le aziende non solo rischierebbe di influenzare negativamente i consumi ma anche destabilizzare l’attuale certezza occupazionale in alcuni settori. Il mercato è cosciente di questo? Cosa succederà se effettivamente nuove tasse verranno create in tal senso?
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