I casi di amministrazione di grandi imprese in crisi implicano un costante bilanciamento tra la liquidazione dell’azienda, voluta dai creditori per tutelare i propri diritti, e la continuazione, perseguita da soci e dipendenti per evitare di perdere, rispettivamente, il controllo dell’azienda e il lavoro.
In questa contrapposizione si inserisce il dibattito relativo all’esercizio della revocatoria fallimentare, si tratta di un’azione che tutela i creditori facendogli recuperare beni e denaro.
La tematica viene affrontata dall’avvocato Francesco Longobucco, Professore associato di Diritto privato all’Università Roma Tre, in un dettagliato articolo pubblicato sul portale di informazione giuridica IL CASO.it.
Nella sua disamina l’avv. Longobucco evidenzia come tradizionalmente “la revocatoria fallimentare non potrebbe in nessun caso essere azionata nella fase conservativa della procedura, sull’assunto che il suo esercizio in tale fase consentirebbe, con sacrifico dei soggetti revocati, di finanziare il debitore, così permettendogli di recuperare risorse economiche finalizzate unicamente alla conservazione del proprio complesso aziendale nonché di avvantaggiarsi rispetto alle imprese concorrenti. Per converso, il rimedio revocatorio esercitato nella fase liquidatoria non altererebbe in nessun modo la dinamica della libera concorrenza del mercato, assumendo la stessa funzione di quello esercitato in sede fallimentare”.
“In tale prospettiva la più recente giurisprudenza di legittimità – afferma l’avv. Longobucco -, nelle procedure disciplinate dalla c.d. legge Prodi bis conferma che, l’azione revocatoria fallimentare può essere proposta dal commissario straordinario «soltanto se è stata autorizzata l’esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali, salvo il caso di conversione della procedura in fallimento»”.
Questo esito interpretativo deve però essere rivisto alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale in merito al caso delle cosiddette “revocatorie Parmalat”, che riprendono le riflessioni sul “nuovo modello procedurale di amministrazione straordinaria introdotto dal Decreto Marzano (d.l. 23 dicembre 2003, n. 347)”.
Come indica l’esperto, a fare luce sulla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi introdotta dal Decreto Marzano, che ha mutato l’impianto originario, è il volume del Prof. Vincenzo Sanasi D’Arpe dal titolo “L’amministrazione straordinaria dei grandi gruppi in crisi. Lineamenti giuridici”.
Il dibattito e le normatve relative all’amministrazione straordinaria e alla revocatoria fallimentare ruotano intorno all’art. 6 del Decreto Marzano, in modo particolare nella parte in cui tale norma consentirebbe l’esercizio delle azioni revocatorie – già previste dagli art. 49 e 91 della legge Prodi bis – “in costanza di un programma di ristrutturazione dell’impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria”.
L’avv. Francesco Longobucco, nel suo articolo, sgombra ogni dubbio sulla legittimità costituzionale dell’art. 6 del Decreto Marzano in riferimento agli art. 3 e 41 della Costituzione.
“Deve escludersi – scrive Longobucco – la denunciata violazione dell’art. 3 cost., così come va esclusa la fondatezza del dedotto contrasto con l’art. 41 cost., sotto il profilo del turbamento della concorrenza e della parità di condizioni tra imprenditori sul mercato, per la possibilità per l’impresa insolvente di giovarsi del finanziamento forzoso costituito dal recupero di somme erogate ai terzi nel periodo sospetto, poiché risulta inconferente il rilievo della mancata destinazione del ricavato delle azioni revocatorie alla ripartizione tra i creditori”.
La Corte costituzionale ha quindi centrato il nodo principale della questione: la necessità di “allentare – ai fini di valutare l’ammissibilità della revocatoria fallimentare – la cesura tra fase conservativa e fase liquidatoria attraverso un approccio maggiormente flessibile e casistico alle concrete situazioni conflittuali (tra impresa e creditori), e ciò, da ultimo, anche in ragione dell’eventuale ricorso al concordato con assunzione”.
Le riflessione esposte dell’avvocato Longobucco evidenziano “l’opportunità metodologica di un approccio flessibile al modello procedurale di amministrazione straordinaria”, senza una distinzione radicale “tra fase conservativa e fase liquidatoria ai fini della proposizione dell’azione revocatoria”.
“A venire in rilievo è cioè la preferibilità – conclude Longobucco – di una valutazione ragionevole e bilanciata degli interessi volta per volta emergenti, ai fini dell’innesto del rimedio revocatorio, compiuta di là da ogni riferimento formale alla “fase” (se si vuole, “cronologica”) della procedura in esame e dunque sempre sostenuta dal costante monitoraggio, necessario pur dopo l’avvio dell’amministrazione straordinaria, delle concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali”.