Torna alla ribalda il Dieselgate, e stavolta in Francia, dove un’analoga indagine a quella americana è stata avviata già da tempo, coinvolgendo le maggiori case automobilistiche, tra cui Fiat Chrysler, che ora si vede accusata di aver ostacolato l’operato del giudice istruttore. Accuse pesanti rivelate dal quotidiano Le Monde, che parla apertamente di “reticenza a collaborare”.
Questo avrebbe aperto un’altra pista nell’inchiesta, secondo una lettera di una settimana fa del giudice istruttore francese Fabienne Bernard, indirizzata alle parti civili. La lettera è incentrata sulla conoscenza dei capi d’imputazione con cui si accusa il gruppo FCA e i diritti delle parti lese. Il reato ipotizzato è di “truffa aggravata”, che prevede sanzioni pari al 10% del fatturato dell’ultimo tiennio, pari a più di 10 miliardi di euro. A questo si è aggiunto il reato di ostacolo alle indagini, che prevede, oltre ad un’altra sanzione di pari entità, anche 24 mesi di carcere. I problemi per Fiat Chrysler quindi appaiono più complessi di quelli che hanno coinvolto le altre case automobilistiche, perché questa avrebbe ostacolato un agente controllore del codice del consumo francese. L’episodio contestato è avvenuto a Parigi nell’arco di sei mesi, tra il maggio 2016 e il gennaio 2017, a danno di un ispettore della DGCCRF, ovvero della Direzione generale della concorrenza, del consumo e della repressione delle frodi. Il nome dell’ispettore è Sacha Davidson, figura di primissimo piano in questa inchiesta.