Il fenomeno degli “indignados” spagnoli sta facendo scuola: le proteste di “Occupy Wall Street” stanno dilagando negli Stati Uniti, con richieste ben precise e uno slogan che non fa una grinza, “End the war, tax the rich”. Insomma, questo popolo multiforme chiede che finisca la guerra, ma soprattutto che si tassino i più ricchi. Ma da chi è composta esattamente tale folla? Si possono scorgere studenti, sindacalisti, ma anche gli operai: i loro appuntamenti e le loro tappe stanno diventando sempre più numerose, ad esempio hanno sfilato contro gli amministratori delegati delle multinazionali, ma li si ricorda, ad esempio, anche sul Ponte di Brooklyn.
Il proletariato urbano, dunque, sta rinfoltendo le fila e gli agenti di polizia non possono che osservare. L’incontro avviene sempre alla stessa maniera. Ci si riunisce a New York, più precisamente all’incrocio tra Broadway e Liberty Street, poi si fa cominciare il corteo sempre con il medesimo cartello di protesta, il quale chiede espressamente e a grandi caratteri “jobs, cioè posti di lavoro. E poi si procede per le vie della Grande Mela, contestando apertamente l’economia attuale e, in particolare, Wall Street; i turisti e i commessi sembrano apprezzare tutto questo, mentre qualche broker viene azzittito se tenta di esprimere il proprio dissenso. Ormai il copione non cambia e il punto di arrivo viene caratterizzato da orchestre e tamburi che battono il ritmo della protesta.
Un’associazione molto presente in tal senso è MoveOn.org, l’associazione che ha contribuito notevolmente all’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca tre anni fa. Perfino un grande speculatore e finanziere come George Soros sta sostenendo apertamente le tesi di Occupy Wall Street. Un altro elemento interessante è l’assenza di schieramenti politici, nella folla prevale soprattutto l’indignazione contro lo stato attuale delle cose. Anche il nostro paese sta prendendo spunto: tra quattro giorni è prevista una manifestazione a Roma, segno che la protesta è internazionale.
1 commento su “Occupy Wall Street, crescono gli “indignados” americani”