Che i calciatori guadagnino cifre da capogiro è risaputo. In molti, soprattutto in un periodo di crisi economica e in cui avere un impiego è considerata una fortuna (anche se i dati sull’occupazione del primo trimestre 2015 all’interno dei confini nazionali hanno evidenziato un miglioramento), puntano il dito contro i loro stipendi faraonici. Ma perché i professionisti del pallone incassano così tanto? Meritano davvero di ricevere certe cifre? Innanzitutto va detto che il calcio è lo sport più popolare al mondo. In Italia, le persone che si interessano a tale disciplina sono più di venti milioni, circa un terzo dei cittadini della penisola. E anche se in Serie A solo il 54% dei posti disponibili negli stadi viene occupato durante le partite (percentuale più bassa d’Europa), sono numerosi i fan che seguono la propria squadra del cuore in TV, tanto da aver convinto Mediaset ad offrire la bellezza di 700 milioni di euro per aggiudicarsi i diritti televisivi della Champions League per il triennio 2015-18. Questo significa che il “prodotto calcio” funziona e che i clienti non mancano. Il football è uno spettacolo che senza i calciatori non potrebbe esistere e per fare in modo che gli spettatori rimangano soddisfatti, servono gli interpreti più qualificati.
Ovviamente la qualità si paga e non c’è da stupirsi quindi se i giocatori che offrono le performance migliori siano anche quelli con un conto in banca da far invidia. Un punto su cui ci si può soffermare a riflettere è piuttosto costituito dal fatto che i grandi nomi in grado di convincere il maggior numero di persone possibile a seguire le partite, e che permettono alla macchina economica calcistica di muovere denaro, hanno comunque bisogno di avversari che, seppur dotati di meno talento, rendano le sfide avvincenti. Quest’ultimi però non guadagnano le somme astronomiche a cui si pensa quando si parla degli stipendi dei calciatori professionisti. I giocatori meno pagati della Serie A si vedono versare ogni mese una cifra che si aggira intorno ai 7.000 euro netti. Altro discorso per chi milita in Serie B, dove la preponderanza degli atleti non va oltre i 4.000, e per chi gioca in Lega Pro, categoria nella quale i più non superano i 1.500 euro al mese. Non molti se si considera che la carriera di chi gioca a pallone non dura a lungo e che in tanti, appese le scarpe al chiodo, si ritrovano a doversi cercare un nuovo impiego, spesso senza una qualifica adeguata.
I 20 milioni di euro netti annui guadagnati da Messi e i 17 dichiarati da Cristiano Ronaldo non sono la norma quindi. In Italia il calciatore nostrano più ricco è De Rossi al quale la Roma versa 6,5 milioni di euro ogni 365 giorni per le sue prestazioni, più o meno lo stesso importo che il gruppo Fiat Chrysler ha riservato a Sergio Marchionne lo scorso anno. Sicuramente tanti, ma anche i piloti di Formula 1 come Alonso (36 milioni di euro lordi all’anno) o Vettel (30) non se la cavano poi così male. Che dire poi di un pugile come Floyd Mayweather, che per la vittoria del match contro Pacquiao di qualche mese fa ha visto il suo conto in banca aumentare di 180 milioni di dollari?
Detto questo, va sottolineato come la spesa sostenuta dai club per assicurarsi le prestazioni dei top player sia spesso ripagata da sponsor e merchandising. Tanto per fare un esempio, durante il corso della stagione 2014/15, il Real Madrid, squadra nota per avere in rosa parecchi campioni, è stata la società ad aver venduto la maggior quantità di magliette (ben 2.533.000), incassando più di 200 milioni di euro. A conferma di quanto detto, non è un caso che la casacca più richiesta sia stata quella del colombiano James Rodriguez, acquistato dai blancos per 80 milioni di euro dopo lo splendido mondiale disputato in Brasile.
In definitiva, la questione degli ingaggi dei giocatori di calcio è più delicato di quanto si possa credere. Il numero di coloro che possono vantare entrate da favola è davvero irrisorio se paragonato a quello di chi fa di questo sport un lavoro a tempo pieno. Perché poi qualcuno guadagna tanto? Semplice. Perché fa guadagnare tanto.