Il prezzo del petrolio è rimasto stabile negli ultimi giorni, caratterizzati dalle tensioni in Medio Oriente tra israeliani e palestinesi. E’ probabilmente questa la variabile-chiave che sta permettendo alle quotazioni di evitare nuovi ribassi, considerando la debolezza dei fondamentali e le prospettive di rallentamento economico globale per i prossimi mesi. Ieri al Nymex il future sul petrolio Brent ha chiuso con un calo dello 0,35% a 110,47 dollari al barile, mentre il future sul petrolio Wti ha evidenziato una flessione dello 0,3% a 87,12 dollari.
Ieri, però, i volumi di scambio sono stati molto condizionati dalla chiusura di Wall Street, a causa della festività del Thanksgiving Day. Anche oggi potrebbe ripetersi lo stesso copione, visto che le borse americane chiuderanno in anticipo alle ore 19 italiane per l’inizio della stagione dei consumi natalizi (Black Friday). Due giorni fa sono giunte conferme importanti dal lato delle scorte. L’approvvigionamento di greggio resta su livelli elevati e gli stoccaggi commerciali (375 milioni di barili) sono ormai diretti verso i livelli più alti degli ultimi dieci anni.
Sul petrolio ormai sono molte le banche d’affari e i broker internazionali che ritengono quasi improbabile importanti strappi al rialzo dei prezzi, nonostante la politica monetaria ultra-espansiva della Federal Reserve possa in qualche modo favorire il rialzo delle commodity. La stessa Goldman Sachs ha da tempo abbandonato le velleità bullish, che accompagnavano gli analisti finanziari “perma-bulls” della banca newyorkese dal 2008 quando veniva consigliato un prezzo obiettivo di 150 dollari al barile. La banca ha di recente tagliato le stime sul Brent a 110 dollari al barile per il 2013.
Un’altra notizia dovrebbe avere effetti bearish sul petrolio, ovvero che gli Stati Uniti diventeranno il primo produttore mondiale di greggio nel 2020, superando così l’Arabia Saudita. Secondo l’Aie, gli USA saranno anche un importante esportatore di greggio nel 2030. Questo epocale cambiamento deriva dalle nuove produzioni di shale oil e shale gas, che negli Stati Uniti si sono già tradotte in minori importazioni di greggio per 750mila barili al giorno in meno rispetto al 2011.