Il gran giorno è arrivato. I rappresentanti dei dodici Paesi membri dell’OPEC, Organizzazione responsabile del quaranta per cento della produzione globale di petrolio, si riuniscono per impedire la caduta vertiginosa dei prezzi del greggio.
I prezzi al barile hanno toccato i loro minimi da quattro anni a questa parte, con una discesa del 26% in confronto al picco di giugno mediante un taglio della produzione. Produzione che, durante il mese di ottobre, è salita in totale a 30,97 milioni di barili al giorno, quando il range del gruppo è di 30 milioni.
Le posizioni della vigilia sono molto differenti. Il Venezuela è lo Stato che maggiormente si batte per un accordo per diminuire la produzione, dal momento che vive una crisi fiscale potenzialmente distruttiva, ora che il deficit di Caracas gira sopra il 15% del pil già quando il prezzo del greggio era prossimo ai 100 dollari al barile. E il greggio vale il 97% delle sue esportazioni.
Sul lato opposto della barricata troviamo Arabia Saudita e, sorprendentemente, l’Iran, che in questi mesi ha preso un’inedita posizione moderata, rinunciando a chiedere un taglio della produzione, concetti ribaditi anche nelle ultime ore prima del vertice, quando il suo ministro del Petrolio, Bijan Namdar Zanganeh, incontrando l’omologo saudita, il potente Alì al-Naimi, si è detto d’accordo con quest’ultimo sul fatto che “il mercato si riequilibrerà da solo”.
In sostanza, Riad e Teheran credono che non sia necessario intervenire sulla produzione, ma che l’attuale sovrapproduzione del mercato petrolifero dovrà essere riassorbita tramite movimenti (al ribasso) dei prezzi.
Gli esperti spiegano questa posizione:
Il Regno Saudita è il primo produttore OPEC con 9,75 milioni di barili al giorno venduti nel mese di ottobre, circa l’11% dell’intera produzione mondiale. A differenza degli anni Ottanta, quando tagliò di due terzi le sue estrazioni, salvo assistere comunque al tracollo dei prezzi sotto i 10 dollari al barile (il Nord Europa e gli altri membri dell’Organizzazione pompavano petrolio senza sosta), stavolta Riad non vuole perdere quote di mercato in favore di nessuno, specie degli USA, che hanno già toccato, grazie allo “shale oil”, una produzione giornaliera di 9 milioni di barili e che potrebbe crescere a breve di altri 250 mila barili.