Una delle questioni più dibattute nell’ambito dell’
economia internazionale riguarda la superiorità del libero scambio sul protezionismo. Non esiste e non è mai esistito nell’uno e nell’altro senso un sistema rigorosamente ed intrasigentemente definito, perché da un lato non si è mai registrata la pratica di un assoluto
regime di libero scambio e dall’altro non s’è mai verificato un modello di integrale e duratura autosufficienza. Anche i mercati che in linea di principio si sono chiusi in se stessi hanno aperto sempre larghi spiragli, controllati e limitati quanto si voglia, verso l’esterno.
Cos’è esattamente il protezionismo? È la politica commerciale adottata da un governo per contrastare la concorrenza estera a sostegno dell’intera produzione nazionale o, più spesso, di particolari settori di essa, scoraggiando le importazioni e incoraggiando le esportazioni. A tal scopo, le misure praticate possono essere di vario tipo: dall’applicazione di severe tariffe doganali alle importazioni fino ai contingentamenti ovvero veri e propri limiti quantitativi alle importazioni. Il protezionismo è strettamente legato alla storia degli stati nazionali. Le sue origini possono essere ricondotte sia al mercantilismo, che, finalizzato alla potenza militare, accompagnò la nascita e il rafforzamento delle monarchie nazionali europee tra il XVII e il XVIII secolo, sia al colonialismo, che contemporaneamente consentì ad alcune grandi potenze di costituire mercati talmente ampi da essere potenzialmente autosufficienti. Ottenuto con la rivoluzione industriale un sicuro vantaggio su tutte le altre economie, in Francia e, soprattutto, in Gran Bretagna si fece strada una teoria opposta al protezionismo, che esaltò il valore del libero scambio.