Mancano ormai soltanto tre giorni alle elezioni politiche in Grecia. Il verdetto potrebbe avere un impatto notevole non solo sul futuro del paese ellenico, ma sull’intera unione monetaria. Non è ancora semplice prevedere chi uscirà vittorioso dalle urne. L’incertezza politica sul risultato elettorale sta contribuendo a creare panico tra la gente e la popolazione greca si sta affrettando a ritirare ogni giorno di più i propri risparmi dalle banche locali. Gli istituti di credito greci stanno sperimentando una fuga dei depositi sempre maggiore, sui timori che Atene possa ben presto uscire dall’euro.
Secondo quanto affermato da fonti bancarie, ogni giorno in Grecia vengono ritirati tra i 500 e gli 800 milioni di euro fra contanti, bonifici verso l’estero e disinvestimenti. Da ottobre 2009 è già avvenuto un deflusso pari a 72 miliardi di euro, per cui ora nelle casse bancarie sono rimasti soltanto 171,5 miliardi di euro. Il panico non sta travolgendo solo i risparmiatori greci, ma anche le grandi banche internazionali e le multinazionali che operano nel paese ellenico.
► COME CREARE UN PORTFOLIO ANTI-CRISI SE SALTA L’EURO
Ad esempio, il colosso francese Crédit Agricole – che in Grecia controlla Emporiki, la sesta banca del paese – sta preparando un piano d’emergenza per fronteggiare l’eventuale uscita di Atene dall’unione monetaria. Il piano prevede la fusione della sua banca locale in un conglomerato in cui la banca francese potrebbe detenere il 10% oppure semplicemente potrebbe lasciarla fallire. Secondo le stime degli analisti, Crédit Agricole perderebbe almeno 5,2 miliardi di euro in caso di uscita della Grecia dalla moneta unica.
► GRECIA VERSO USCITA DALL’EURO SECONDO STANDARD & POOR’S
Il risultato elettorale resta ancora molto incerto. Nei sondaggi sono in testa il partito di centro-destra Nea Dimokratia di Antonis Samaras e il partito di sinistra radicale Syriza guidato da Alexis Tsipras, entrambi con un punteggio che si attesta intorno al 30%. Il primo vuole che la Grecia resti nell’euro, ma anche una rinegoziazione degli accordi con UE e FMI su basi più “morbide”; il secondo, invece, preme per la cancellazione del memorandum di intesa con i creditori.